di NANDO TONON <>
Tra le diverse forme di scetticismo sulla presenza di un ipotetico “supremo fattore”, si suole parlare di “atei” per indicare chi nega in modo reciso l’esistenza di qualsiasi entità trascendente.
Meno intransigenti, i “non credenti” si limiterebbero solo, senza chiusure assolute sul piano teorico, a non stimare attendibile l’ipotesi del divino.
Alle prime due vanno aggiunti gli “agnostici”, ossia le persone che non si pongono nemmeno il problema se esista o meno un padreterno e non entrano nella disputa, disinteressandosi di fatto alla questione.
Categorie tutto sommato abbastanza inutili, perché nella pratica del quotidiano fra le tre posizioni non marca grande differenza di sostanza. Si può essere, infatti, al contempo atei e agnostici? Sì, chi scrive ne è l’esempio concreto: dipende dal concetto che ognuno di noi ha elaborato per postulare una propria idea di dio.
È noto che dio può essere pensato esclusivamente come creatore assoluto dell’universo, delle leggi che lo governano e ne regolano l’evoluzione, compresi i processi che hanno dato origine al fenomeno della materia vivente. Un atto dunque di potenza soprannaturale, un’espressione di immensa forza generatrice che trova il fine ultimo nel suo manifestarsi.
A questo dio non importerebbe né della complicata sorte di ogni corpo celeste, né degli sporadici fenomeni artefici, qua e là nell’infinito, del passaggio dalla materia inerte ai composti cellulari animati, fenomeni ancora ignoti alla scienza.
Perché un dio, capace di dar luogo a duecento miliardi di galassie, forte ognuna di duecento miliardi di soli e di un numero inconcepibile di pianeti, dovrebbe darsi pena delle meschine vicende del singolo individuo, microbo relegato in un oscuro recesso dell’Universo? È come se il Presidente dell’ONU badasse ai casi di ogni formica, termite, acaro o ameba che brulica sopra e sotto la superficie del globo terracqueo. È ragionevole? Non tanto.
Bene. Allora l’esistenza o l’inesistenza di un simile “creatore” non mi tocca, non mi assilla, non desta né timore, né amore. Non interferendo nella mia vita, che procede per binari indipendenti dalla sua partecipazione, il sapere che ci sia o non ci sia non suscita in me alcuna curiosità. Sono agnostico.
Allorché invece ragioniamo sul dio delle religioni, l’agnosticismo vira subito in ateismo. Non (mi) è possibile conciliare tra loro figura e poteri del cosiddetto “onnipotente” – così come tramandato da millenni – con le risultanze della realtà constatabile, con il buon senso della logica, le scoperte della scienza, le tante contraddizioni delle dottrine.
La casualità degli eventi, l’asettica crudeltà della natura, l’inguaribile presenza del male nonostante i presunti interventi redentori, l’ingenuità a volte feroce dei riti, la vacuità degli appelli lanciati dai ministri della fede, la suprema ingiustizia di un dio che si vuole misericordioso, ma che condanna a tempo indeterminato l’umanità a pagare per l’unico errore dei due progenitori: tutto ciò e molto altro ancora inducono riflessioni in grado di guidare una mente pensante a rifiutare l’idea che possa realmente esistere un “padre celeste” con tali prerogative.
Come si vede da questa sommaria esposizione, a seconda dell’idea di dio presa in considerazione muta il grado di scetticismo ad essa applicato. Neutrale e non coinvolgente nel primo caso, totale, passionale, determinato nel secondo.
Entrambi legittimi e motivati dalla volontà di non rinunziare a esercitare la facoltà suprema degli esseri viventi: la ragione.
Atei, NonCredenti, Agnostici
Comments
Una risposta a “Atei, NonCredenti, Agnostici”
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Molto molto bello! Bravo!
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