Un futuro per dio

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di ANDREA CATTANIA <>
Circa diecimila anni fa ebbe inizio la seconda fase dell’evoluzione del genere umano. La prima, quella biologica, era stata molto lenta. Ma con l’inizio del Neolitico e con l’avvento dell’agricoltura e dell’allevamento, l’evoluzione dell’Homo Sapiens cambia marcia. Occorreranno ancora diversi millenni prima dell’avvio dell’era tecnologica. In questi anni assistiamo a un nuovo cambio di passo con l’avvio di un’era dagli esiti ancora incerti, dominata dall’Intelligenza Artificiale.

Dio: una lunga storia

La ricerca degli indizi di qualche elemento divino ha caratterizzato a lungo la storia di tutte le società umane. In epoca preistorica abbiamo creato leggende, a volte anche molto poetiche, per “spiegare” tutto ciò che era fuori dalla nostra portata. Questo rapporto fra poesia e cosmologia, la cui prima testimonianza organica giunta fin a noi è la Teogonia di Esiodo, aveva generato nell’arco di migliaia di generazioni numerose “storie delle origini” di cui ci rimangono, purtroppo, poche notizie.
Quando, quarantamila anni fa (secolo più, secolo meno), i nostri progenitori Sapiens partiti dall’Africa raggiunsero per la seconda volta l’Europa, che già da molto tempo era abitata dai Neanderthal, scoprirono -scrive Guido Tonelli in Genesi- “pareti affrescate con simboli e disegni di animali, cadaveri sepolti in posizione fetale, ossa e grandi stalattiti disposte in cerchi rituali.”
Miti e leggende hanno popolato a lungo la nostra immaginazione. “C’erano divinità dell’amore e della guerra; del Sole, della Terra e del Cielo; degli oceani e dei fiumi; della pioggia e dei temporali, e perfino dei terremoti e dei vulcani”, affermano Stephen Hawking e Leonard Mlodinow ne Il grande disegno.
Spesso, la spiegazione per la presenza o per l’assenza di calamità naturali era il comportamento degli uomini, che determinava l’ira degli dèi o la loro benevolenza. Altre volte, invece, essa veniva trovata nei personaggi nati dalla nostra fantasia. Come si spiegano le eclissi? Per i vichinghi, queste avvenivano se uno dei due lupi, Skoll e Hati, riusciva a raggiungere il Sole o la Luna. Chi creò l’universo? Fu una gigantesca tartaruga che, nuotando nelle acque primordiali, vi depose le uova; fu un eroe, di nome Doondari, che trasformò una goccia di latte in terra, acqua, ferro e fuoco; fu il signore di un mondo oscuro, il grande Mbombo, che vomitò i corpi celesti a causa di un forte mal di pancia. Sono, queste, alcune fra le infinite leggende sulla nascita del mondo, che dobbiamo rispettivamente ai Pigmei dell’Africa equatoriale, ai Fulani del Sahel e ad una popolazione del Congo, i Kuba.

Dalle origini al monoteismo

Secondo gli indiani klamath, la terribile eruzione del Mount Mazama, in Oregon, che avvenne attorno alla metà del sesto millennio dell’Evo Antico, fu originata dalla caduta di Llao, signore del mondo di sotto, dopo essere stato ferito da Skell, signore del mondo di sopra. Llao era stato respinto dalla bellissima figlia di un capo klamath di cui si era innamorato e aveva deciso di distruggere con il fuoco l’intera popolazione. Ma Skell era intervenuto contro di lui che, cadendo, avrebbe creato un grande cratere e, in seguito, il grande lago che esiste ancora oggi.
Diecimila anni fa, dopo quasi duecento millenni nel corso dei quali la nostra sopravvivenza era stata affidata solo alla caccia, alla pesca e ai doni della natura, il profondo cambiamento dello stile di vita (da erratico a stanziale) si accompagnò a una rapida evoluzione della nostra conoscenza della natura e dell’interpretazione del mondo reale. L’introduzione della scrittura diede un impulso eccezionale a questa evoluzione e contribuì fortemente alla possibilità di ricostruire più fedelmente i diversi stadi dello sviluppo delle nuove civiltà che si affacciavano alla ribalta della storia dell’uomo.
Gradualmente, le religioni monoteiste si sostituirono a quelle precedenti. Dopo una prima fase in cui fu l’oggetto di dure persecuzioni, il Cristianesimo riuscì a diventare nel corso del quarto secolo dell’Evo Moderno la religione dominante nell’ambito dell’Impero Romano, principalmente ad opera degli imperatori Costantino e Teodosio, trasformandosi in persecutore dei pagani e di quanti si opponevano alla sua trionfale avanzata.
Dal lungo braccio di ferro tra fede e ragione stiamo forse uscendo solo ora. La mentalità scientifica si è affermata nel corso di lunghi secoli, ma affonda le proprie radici nel periodo d’oro che va dal 600 al 300 a. C. nella Grecia classica e nel periodo ellenistico, tra Atene e Alessandria (verrebbe da dire da Talete a Euclide). Oggi la scienza ha ancora molti (troppi) nemici ma, grazie a un formidabile sviluppo delle tecnologie che ha reso possibili, è al centro della nostra vita quotidiana e difficilmente potrà fermare il proprio corso.

La teologia di frontiera

La fase dell’evoluzione tecnologica, che ha avuto inizio da qualche secolo, ha registrato negli ultimi decenni un’accelerazione incredibile. L’evoluzione culturale dell’animale Homo si accompagna, inevitabilmente, a una profonda revisione delle sue concezioni religiose e di ciò che resta della metafisica. Se limitiamo lo sguardo a quello che chiamiamo, per semplicità, il “mondo Occidentale”, non possiamo negare che il dio della visione tradizionale sia ormai entrato in una crisi irreversibile, e lo conferma il fatto che perfino la teologia si sente in dovere di introdurre definizioni inedite.
Sorge qui, a mio parere, un nuovo aspetto concettuale del problema, che richiede un chiarimento. Finora, nella storia dell’uomo, le caratteristiche delle divinità sono state sempre largamente condivise da parte delle società che le veneravano. Se invece, come accade oggi, chi definisce tali caratteristiche è un intellettuale che si rivolge a una parte limitata della società, viene a mancare quella adesione di massa che ha storicamente garantito il potere dei rappresentanti della confessione religiosa dominante.
Che la religione cristiana sia in forte declino non lo sostengono solo i noncredenti, ma anche diversi teologi. A questo punto, il pensiero ateo più consapevole non può esimersi da un confronto con la teologia di frontiera.
È troppo facile deridere il parroco di campagna che nelle sue prediche descrive dio come un vecchio adagiato su una nuvola. La domanda da approfondire è: quanti, fra i credenti, si rendono conto dell’insufficienza di un simile narrazione e spostano più in alto l’asticella? Pochi o molti che siano, essi ci chiedono un confronto più aggiornato rispetto a quello al quale eravamo assuefatti. Si rende necessario, da parte nostra, comprendere le argomentazioni su cui si basa questo nuovo approccio.
Quanti sono, anche fra noi, coloro che hanno letto i testi di Spong, che da diversi decenni è giunto alla conclusione che non sia più possibile percepire dio come un essere dal potere soprannaturale che vive nell’alto dei cieli? Quando un numero crescente di “teologi di frontiera” sottolinea l’inadeguatezza di una visione religiosa tradizionale, ancorché largamente predominante, oggi, soprattutto nel nostro Paese, un problema si pone: sia per i credenti che ne sono coscienti, dato che essi sono chiamati a prendere posizione, ma anche per i noncredenti, che devono saper fornire risposte all’altezza del nuovo livello del confronto.
Quando un noncredente si trova ad affrontare il pensiero di John Shelby Spong o di Vito Mancuso, di Hans Küng o dei teorici della “teologia della sostenibilità” avverte, a mio avviso, prima ancora di elaborare le argomentazioni adeguate al livello del confronto, l’esigenza di rispondere a due domande: fino a dove si potrà spingere la determinazione a sacrificare gli aspetti tradizionali della fede? Quanti potranno essere, nel tempo presente e in un prossimo futuro, i credenti che si lasceranno convincere ad abbandonarli definitivamente?
È importante, a mio avviso, che le ragioni dei noncredenti vengano difese con argomentazioni solide e non scontate, anche -e soprattutto- perché in questo confronto dobbiamo saper distinguere fra il credente “bigotto” e quello documentato e consapevole. Si tratta di un aspetto cruciale: i nostri articoli sono prevalentemente rivolti, infatti, contro ogni atteggiamento che sia in contrasto con i principi di una società laica. Atteggiamenti che sono oggi largamente presenti, soprattutto -anche se non solo- a causa del prevalere di una visione confessionale, in particolare nel campo dell’educazione e in quello dei temi eticamente sensibili. In questa situazione è legittimo chiedersi quale diffusione potrà avere fra i credenti il pensiero dei teologi di frontiera e, nel caso, quale impatto avrà sulla riduzione del potere della religione tradizionale e su un’eventuale riedizione dell’anticlericalismo.

Per un aggiornamento del confronto

Quale potrebbe essere, allora, un contributo all’elaborazione di idee per un confronto sulle opinioni teologiche più innovative? In questi anni abbiamo registrato, e continuiamo a registrare, numerosi episodi che si inseriscono nel “nuovo corso”. Spesso il confronto avviene a tutto campo, e quasi sempre in risposta a temi di attualità come il referendum sul fine vita. Ma ci sono motivazioni ben più profonde, al di là delle mode del momento. Un punto di partenza potrebbe essere la domanda che rivolgo spesso a tutti coloro che si riconoscono nel mio stesso campo, quello dei noncredenti: ciò che desideriamo contrastare e combattere nell’operato delle chiese è il dogmatismo, l’arroganza, la pretesa di imporre un’etica confessionale all’intera società o è la testimonianza di una fede che, sia pure non appartenendoci, siamo anche noi tenuti laicamente a riconoscere, proprio sulla base di quel rispetto di ogni opinione su cui dovrebbe fondarsi ogni forma di convivenza civile? In altri termini, vorremmo estirpare ogni forma di sopraffazione o riteniamo invece che la semplice presenza di una o più religioni, indipendentemente dai modi in cui esse vengono professate, sia il principale nemico della possibilità di instaurarsi di una “società della ragione”?
Confesso di ritenere agghiacciante anche la semplice presenza della seconda di queste due alternative. Quali sono i motivi per cui dovrebbe sopravvivere il vecchio anticlericalismo? Consideriamo, ad esempio, il confronto che si verifica sul terreno della politica. Nel primo dopoguerra, la radicalizzazione delle idee sul terreno della religione era un elemento caratterizzante nell’attività dei partiti. Quasi tutti i cattolici erano nella DC, gli atei nel PCI o nel PSI. Settant’anni di vita laica, sia pure con tutti i limiti che ben conosciamo, hanno profondamente modificato questa situazione. Oggi i temi in occasione dei quali traspaiono le convinzioni religiose di ciascuno sono i finanziamenti alla scuola e le questioni che rivestono una particolare rilevanza da un punto di vista etico. Negli altri casi esse non determinano, se non in misura trascurabile, il grado di accettazione o meno di un personaggio politico. Forse questo è il sintomo di un passaggio verso quel “principio di irrilevanza” che ho spesso auspicato nei miei articoli: una situazione in cui le opinioni in tema religioso siano, finalmente, del tutto irrilevanti nella formulazione del giudizio che ognuno di noi è chiamato a dare su un argomento, su un problema, su un personaggio.

Dio nell’era dell’IA

Se spostiamo lo sguardo verso un futuro più lontano, possiamo scorgere un mondo sempre più dominato dalla tecnologia, anche se ciò non significa necessariamente la fine della dimensione spirituale del genere umano. E le religioni? Molto dipenderà dall’esito delle questioni che ho cercato di affrontare fin qui. Da un lato, la sopravvivenza di un credo bigotto potrebbe sembrare improbabile, ma dobbiamo fare attenzione a non sottovalutare i tentativi di strumentalizzazione delle religioni tradizionali, che ben conosciamo. A molti uomini politici conviene puntare sulla presenza di masse ignoranti e obbedienti, e la religione si è sempre dimostrata lo strumento migliore da questo punto di vista.
Non è possibile, peraltro, trascurare gli effetti della profonda mutazione antropologica che stiamo attraversando per effetto della globalizzazione, da un lato e -dall’altro- del dilagare delle applicazioni dell’Intelligenza Artificiale. Ho già trattato in articoli precedenti questo tema, che potrebbe sembrare avveniristico ma non lo è poi molto: in particolare, la domanda sulla coscienza nelle macchine. Si tratta di un argomento al quale nessuno di noi può sfuggire. È una prospettiva del tutto inedita, alla quale dovremmo arrivare consapevoli e adeguatamente preparati. Per i credenti, poi, la possibilità di un automa cosciente è doppiamente inquietante, in quanto ripropone in una luce nuova antiche problematiche relative alla creazione e al libero arbitrio. Qui non sarà possibile eludere le domande sulla presenza del fattore divino.
Dobbiamo tutti immaginare i possibili scenari che si potranno verificare quando l’intelligenza delle macchine avrà superato quella dell’uomo. Non è possibile prefigurare, oggi, se in quel momento le religioni saranno diventate un lontano ricordo o se troveranno ancora spazio, e in che forma. È difficile, in particolare, pensare a quale possa essere un eventuale futuro per la divinità in un mondo ormai controllato dalle nostre stesse creature.

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Comments

Una risposta a “Un futuro per dio”

  1. Avatar Rubes
    Rubes

    Complimenti,un bell’articolo interessante,grazie !

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