La storia del patriarca Giuseppe e la struttura narratologica della fiaba antica

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di RICCARDO RENZI <>

La figura del patriarca Giuseppe, Yosef in ebraico e Ιωσηφ in greco antico, è una delle più controverse di tutta la religione cristiana. Ma per capire e comprendere realmente il suo ruolo bisogna iniziare il percorso dalle sacre scritture. In questo breve articolo andremmo a sottolineare i cliché della fiaba antica presenti nel racconto di Giuseppe.

La storia di Giuseppe occupa l’ultima parte del libro della Genesi, dal capitolo 37 al capitolo 50. Egli è il figlio prediletto di Giacobbe, che gli riserbò una vita lontano dal lavoro nei campi e dedita all’istruzione. Dio lo aveva dotato del dono di interpretare i sogni; uno di questi riguardava i suoi fratelli maggiori, i cui covoni si erano prostrati davanti al covone di grano di Giuseppe. I dieci fratelli maggiori – ad eccezione di Ruben che tenterà di salvarlo – gelosi di Giuseppe a causa della predilezione del padre, secondo decidono di gettarlo vivo in una cisterna vuota: «I suoi fratelli, vedendo che il padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a parlarci amichevolmente […] Poi disse loro: “Non spargete il sangue, gettatelo in questa cisterna che è nel deserto, ma non colpitelo con la vostra mano”»[1].

La fiaba del patriarca Giuseppe si intreccia con la storia di Giacobbe. Molti studiosi hanno riconosciuto nella storia di Giuseppe un insieme letterario unificato che si distingue dai capitoli precedenti della Genesi, alcuni hanno addirittura riscontrato una sovrapponibilità tra la storia di Giuseppe alcune fiabe dell’Asia Minore[2]. L’incipit del ciclo di Giuseppe è del tutto emblematico: «Questa è la storia della discendenza di Giacobbe. Giuseppe all’età di diciassette anni…»[3]. Qui c’è si un continuum con la storia di Giacobbe, ma anche una forte cesura, poiché inizia una nuova storia proprio da Giuseppe, il figlio che egli «amava più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia» (Genesi, 37, 3.), inoltre lo aveva concepito anche con la moglie preferita. Il distacco di età tra Giuseppe e i suoi fratelli vuole essere presentato come uno svantaggio per il primo: «Egli era giovane e stava con i figli di Bila e di Zilpa» (Genesi, 37, 2.)[4]. I fratelli erano tutti più grandi e provvedevano autonomamente al lavoro nei campi. Giacobbe predilige così tanto Giuseppe da fare regali solo a lui: «e gli aveva fatto (donato) una tunica dalle lunghe maniche» (Genesi, 37, 4.). Giuseppe nel testo è sempre indicato come na’ar in ebraico, che non vuol dire proprio “ragazzo”, ma “servo” o “assistente”, e sta a significare che lui aiutava, o meglio era attendente dei suoi fratelli nel lavoro. Quella di Giuseppe è la classica fiaba antica, ove il fratello minore soppianta i maggiori, proprio come era successo per Giacobbe (Genesi, 27,36) e Davide (1 Sam. 16, 11-13).

Nel Talmud Babilonese viene criticato aspramente Giacobbe che predilige un solo figlio: «Un uomo non deve favorire uno dei suoi figli, perché per due misure di lana fine che Giacobbe donò a Giuseppe in più che ai suoi fratelli, essi ne diventeranno gelosi…» (Shabbat 9). Proprio come nella vicenda di Caino e Abele, è la troppa simpatia del padre a scatenare l’odio nei fratelli. «I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non potevano parlargli amichevolmente» (Genesi, 37, 4.). Nel dono della veste è riscontrabile un parallelismo tra Giacobbe e Dio, egli infatti, proprio come il Creatore nell’Eden[5], cuce personalmente la tunica per il figlio.

La tensione del racconto origina proprio dalla frattura all’interno di un gruppo famigliare. Il padre attraverso un gesto di libera scelta genera la discordia tra i fratelli e l’impossibilità a comunicare. Ad un certo punto del racconto domina un silenzio assordante, ormai è guerra tra i figli e il padre, nessuno di loro pensa ad interpellare Giacobbe e chiedere il perché di tale predilezione. Quando Giuseppe ebbe in dono la capacità del sogno premonitore, la situazione degenerò ancora di più, poiché l’odio dei fratelli crebbe esponenzialmente: «essi lo odiarono ancora di più» (Genesi, 37, 5-8.). Nel sogno Giuseppe racconta di aver visto i covoni dei fratelli, il sole, la luna e 11 stelle prostrarsi davanti a lui. Secondo Grottanelli e Steuernagel[6] i personaggi della storia di Giuseppe rappresentano le tribù di Israele tra le quali quella di Giuseppe, che, insediatasi prima a Sichem e poi a Dotan, avrebbe goduto di un maggiore benessere, fatto indicato dalla tunica dalle lunghe maniche.

Come per i sogni di Faraone (cfr. Genesi, 41), anche per quelli di Giuseppe sembra si stratti di un unico motivo: che la sua famiglia un giorno si inchinerà a lui riconoscendolo come loro re. Questa è una vera e propria profezia, poiché il doppio sogno sottolinea la certezza della sua realizzazione e che la cosa è stabilita da Dio. I due sogni sono complementari, uno si rivolge alla terra (i Covoni), l’altro al cielo (sole, luna e stelle). Questa doppia valenza del sogno è un tratto distintivo della profezia. La tunica rappresenta l’amore del padre, mentre i sogni simboleggiano l’amore di Dio nei suoi confronti. Anche questo è un altro punto comune di molte fiabe antiche.

La storia di Giuseppe presenta la struttura narratologica e i cliché della fiaba antica, dall’incipit alla conclusione. Potrebbe anche essere pensata un po’ come l’opera omerica, cioè come sovrapposizione di più racconti/fiabe che poi in forma scritta sono state riunite in un’unica opera.


[1] La sacra Bibbia, edizione ufficiale del CEI, Roma, CEI srl, 1974, pp. 31-32.

[2] C. Poesio, Fiabe orientali e africane, Milano, Mondadori, 1966, p. 115; C. Grottanelli, Giuseppe nel pozzo II. Il motivo e il suo contesto nel folklore, in Oriens Antiquus, n. 22, 1983, pp. 267-290; R. Virgili, La storia di Giuseppe, in Firmana, 19/20, 1999, pp. 25-47.

[3] La sacra Bibbia, edizione ufficiale del CEI, Roma, CEI srl, 1974, p. 30.

[4] La sacra Bibbia, edizione ufficiale del CEI, Roma, CEI srl, 1974, p. 30.

[5] Dio lo aveva fatto per Adamo ed Eva.

[6] C. Grottanelli, Sette storie bibliche, Brescia, Paideia, 1998, pp. 43-49; C. Steuernagel, Die Einwanderung der israelitischen Staemme in Kanaan : historisch-kritische Untersuchungen, Berlin, C. A. Schwetschke und Sohn, 1901.


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