Il tema della violenza nella preghiera ebraica

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di RICCARDO RENZI <>
Per comprendere la mentalità ebraica di una quasi intrinseca impotenza davanti alla violenza ingiustamente perpetuata vanno letti e compresi i Salmi.
Il tema della violenza e della brutalità nella preghiera ebraica è complesso e articolato e richiede una necessaria premessa terminologica. Del concetto di violenza nella preghiera di Israele hanno già parlato il prof. Bovati e il prof. Alonso-Schokel. Bovati ha affrontato il tema parlando della forza fisica ingiusta, mentre Alonso-Schokel dal punto di vista della violenza verbale. Però è giusto rendere il concetto di violenza, anche nella lingua italiano, con uno spettro di accezioni più ampie. Violento sta a significare l’intensità di un qualsiasi fenomeno naturale in sé. Ai fini del nostro discorso, il concetto di violenza ci interessa in quanto va contro natura. Si può perpetuare la violenza contro una pianta o un sasso, ma essi non hanno diritti. Il concetto che interessa a noi è la violenza, in quanto uso della forza che è violenta per chi la patisce, ma non tocca i concetti di giusto o ingiusto. Però noi in questa sede non vogliamo riflettere solo sul concetto della violenza in sé, ma della violenza ingiusta perpetuata ingiustamente. La risposta a questi nostri quesiti risiede nella preghiera salmica. Per prima cosa andremo ad analizzare e commentare il Salmo 55. Esso presenta tratti di violenza e imprecatori:

Porgi orecchio alla mia preghiera,
o Dio,
non essere insensibile alla mia supplica.
2 Dammi ascolto, e rispondimi;
mi lamento senza posa e gemo,
3 per la voce del nemico, per l’oppressione dell’empio;
poiché riversano iniquità su di me
e mi perseguitano con furore.
4 Dentro di me palpita violentemente il mio cuore
e una paura mortale mi è piombata addosso.
5 Paura e tremito m’invadono,
e sono preso dal panico;
6 e io dico: «Oh, avessi ali come di colomba,
per volare via e trovare riposo!
7 Ecco, fuggirei lontano,
andrei ad abitare nel deserto; [Pausa]
8 m’affretterei a ripararmi dal vento impetuoso e dalla tempesta».
9 Annientali, Signore, confondi il loro linguaggio,
poiché io vedo violenza e contesa nella città.
10 Giorno e notte si aggirano sulle sue mura;
ingiustizia e malvagità sono dentro di essa.
11 All’interno ci sono delitti,
violenza e insidie non cessano nelle sue piazze.
12 Se mi avesse offeso un nemico,
l’avrei sopportato;
se un avversario avesse cercato di sopraffarmi,
mi sarei nascosto da lui;
13 ma sei stato tu, l’uomo che io stimavo come mio pari,
mio compagno e mio intimo amico.
14 Ci incontravamo con piacere;
insieme, tra la folla, andavamo alla casa di Dio.
15 Li sorprenda la morte!
Scendano vivi nel soggiorno dei morti!
Poiché nelle loro case e in cuor loro non v’è che malvagità.
16 Io invocherò Dio,
e il SIGNORE mi salverà.
17 La sera, la mattina e a mezzogiorno mi lamenterò e gemerò,
ed egli udrà la mia voce.
18 Darà pace all’anima mia,
liberandomi dai loro assalti,
perché sono in molti contro di me.
19 Dio ascolterà e li umilierà,
egli che siede da sempre sul suo trono; [Pausa]
perché essi rifiutano di cambiare,
e non temono Dio.
20 Il nemico ha steso la mano contro chi viveva in pace con lui,
ha violato il suo patto.
21 La sua bocca è più untuosa del burro,
ma nel cuore ha la guerra;
le sue parole sono più delicate dell’olio,
ma in realtà sono spade sguainate.
22 Getta sul SIGNORE il tuo affanno,
ed egli ti sosterrà;
egli non permetterà mai che il giusto vacilli.
23 Ma tu, o Dio, farai scendere costoro nella tomba;
gli uomini sanguinari e fraudolenti
non arriveranno alla metà dei loro giorni;
ma io confiderò in te[1].

In questo salmo colui che prega è costantemente oppresso da una situazione interna ed esterna di violenza estrema. Egli vuole chiudersi in sé stesso in segno di protezione, ma non può, perché le grida e la violenza entrano comunque in lui e lo feriscono. Questa è una descrizione psicanalitica, egli si trova totalmente assediato e angosciato, il proprio io è succube di quella violenza. Egli però riesce a ribaltare tale situazione attraverso uno stilema poetico, la personificazione. L’oratore descrive una città assediata e dominata da una violenza ingiusta costante e onnipresente, ma non lo fa descrivendo in maniera reale ciò che vede, ma attraverso personificazioni: l’ingiustizia è una vita organizzata forte, alla quale non si può fare nulla. In lui è svanito anche l’ultimo barlume di fiducia costituito dall’amicizia. Il salmo è molto più moderno di quanto si possa pensare, poiché anche oggi ci si trova in situazioni simili senza rendersene conto. Nel salmo al disordine sociale di una situazione interiore corrisponde un uguale disordine sociale. La violenza urbana, quella della polis e della cittadinanza, diviene violenza interiore. L’esito è sempre quello dell’impotenza davanti alla violenza e alla morte. In tutta questa situazione si cerca una via di scampo una fuga, ma di nuovo ritorna l’impotenza davanti alla violenza e l’impossibilità d’azione, dunque ci si rifugia nella preghiera unica vera ancora di salvezza. La città in cui si trova l’oratore è Gerusalemme che per ironia della sorte vuol dire proprio città della pace. Dunque, l’oratore prova una fuga mentale e non fisica. L’oratore vorrebbe avere ali di colomba per scappare nel deserto. Di nuovo si hanno due personificazioni quella della Violenza e quella della Discordia che a turno fanno la ronda sulle mura della città. All’interno di essa spadroneggiano le personificazioni di Crimine, Ingiustizia e Sciagura. La soluzione è nella preghiera di un Dio che però non risponde e non offre il suo ausilio.


[1] Traduzione presa da La parola, Salmo 55, https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=salmo+55 consultato il 11/01/2024.


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