Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra

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di SERGIO MORA <>
Pensiero e scrittura

La scrittura come indagine e conoscenza è un aspetto spesso negato dalla letteratura.
L’evasione narrativa, il mondo della “fiction” allo stato puro o l’opinionismo più sfacciato sono la morte stessa della letteratura.
Rileggendo Guido Morselli (1912-1973) a cinquant’anni dalla sua tragica scomparsa, queste considerazioni prorompono in modo netto nella nostra mente, come una nuova “epifania”, come monito ad aprirci ad un ulteriore inizio del nostro procedere nella comprensione della realtà.

Io e Dio

Al centro degli interessi letterari di Morselli troviamo la dicotomia, poco approfondita, dello strutturare il racconto in prima persona piuttosto che nell’abituale abuso della terza persona.
In questo impiego falsato della terza persona si cela il lato “teologizzante”, “omniscente” dello scrittore che nel dominare la vicenda si sostituisce a Dio nella sua presuntuosa imperscrutabilità.
Si tratta quindi di una terza persona di natura teologica.
Questo stratagemma di condotta dell’Io narrante nasconde la paura di assumersi l’identità della prima persona anche all’interno di vicende estranee all’autobiografismo. Il cruciale binomio Io-Dio rimane volutamente irrisolto.
L’ateismo conclamato di Guido Morselli viene significativamente espresso nel concetto stesso di scrivere.
Il timore di porre l’Io al centro del racconto maschera il rapporto incompiuto con un assetto vitale succube di una visione “teologica”
ancora operante all’interno della stessa visione morale del mondo circostante.
Per Guido Morselli il discorso sull’ateismo è parte integrante del fallimento della letteratura del secondo Novecento.
La coscienza e i suoi interrogativi Prima di giungere ai testi narrativi della sua opera di scrittore, all’interno dei suo Diario troviamo ampi squarci di natura filosofica basati sull’indagine esistenziale.
La ricerca di una storia da comunicare è preceduta da continue riflessioni dove il pensare al problema di Dio non è cosa così ovvia. Si capisce perfettamente che questo “busillis” è la rete di tutti i condizionamenti che ancora toccano l’uomo moderno.
Il tema allora attuale dell’incomunicabilità è generato dal mancato superamento di una concezione teologica della vita.

Dio e psicosi

“Dio è il nome di una psicosi, di cui prima o dopo tutti soffriamo.”
Questa frase, annotata il 22 agosto 1955, mostra chiaramente il rapporto, prima evidenziato, della difficoltà dell’uomo di prendere coscienza dei rapporti esterni in un mondo violato da due guerre mondiali. Le catene nascoste nella modernità del vivere, continuano ad agire.
Il cinema di Fellini, Antonioni e Rossellini hanno esemplificato questo stato occulto del vivere nelle loro pellicole.
Spesso la sarabanda estroversa che ha determinato il periodo del “boom economico” nasconde la taciuta presenza di questa psicosi.
Questo è stato anche il momento di massima divulgazione della psicanalisi e anche del suo travisamento. Motivi di cauta prudenza hanno preferito deviare gli argomenti principali sulla “libido” evitando il più complesso argomento “teologico”.
Anche i condizionamenti dei mezzi di comunicazione, come deviazione centrifuga di ogni riflessione spirituale, sono messi in evidenza in una ulteriore annotazione del 17 ottobre 1956.
“Fra le tare della labilità psichica, particolarmente diffusa, oggi, quella che gli psichiatri chiamano automatismo ( o semi- automatismo) imitativo. Vedi gli influssi esercitati dal cinematografo, dalla televisione, ecc, sul comportamento di molti individui, specie giovani.”
Alcune osservazioni propongono dilemmi di una sconcertante drammaticità. Ecco cosa scrive il 26 dicembre del 1958:
“Dopo la morte, per gli scettici c’è il nulla. Per le anime religiose, dopo la morte c’è Dio, ossia il tutto. Ma sparire nel nulla, o nel tutto, non è la stessa cosa?”
Nella narrativa di Morselli il tema della vita e quello del fine-vita assumono la stessa sconcertante ingerenza.
La scrittura del romanziere varesotto sottopone ad una meticolosa trasformazione quelle inquietudini e disorientamenti che governano l’uomo del secondo Novecento. La verifica concettuale dei problemi esistenziali, attraversa i dialoghi dei suoi personaggi senza che gli stessi diventino dei “leitmotiv” filosofici.
Lo stesso lato oscuro e insondabile dell’esistenza, trova la propria collocazione in successive annotazioni diaristiche, come questa del 10 gennaio 1960:
“Sul terreno metafisico e teologico in senso stretto, Dio è inconoscibile.”
Questo contrappunto di similitudini quasi “bibliche”, mantengono annodata l’ereditarietà metafisica con il dolore fisico esistenziale.
Le radici del vivere odierno e le sue psicosi ci riportano all’antico ma ci privano del significato autentico del sacro. L’uomo si ritrova esiliato dal suo vissuto storico e diventa succube dei meccanismi vuoti della storia.

Il crepuscolo degli dei

Nel Diario di Morselli, il 28 giugno del 1961, affiorano le parole di Dostoevskij tratte dai “Demoni”:
“Quando l’umanità sarà giunta alla vera felicità non esisterà più il tempo, perché non sarà più necessario.”
Il tempo, lo spazio della vita, ecco lo scenario storico in cui la vita spesso si sente imprigionata perché vittima delle irrisolte condizioni “teologiche” originarie. L’irrigidirsi dei condizionamenti esterni finiscono con l’inscatolare la condizione umana in un carcere infinito.
La fine di quella storia asfittica di drammi e di tragedie che ci ha condizionato sino ad oggi troverà il suo punto di convergenza quando finalmente l’Io del pensare diventerà equamente tutt’uno con il concetto antico di Dio:

Deus absconditus

“Il Dio nascosto o sfuggente, il Dio difficile, dei grandi credenti, è un Dio di cui essi capiscono e sentono che torna ad identificarsi con il loro Io. “
La dicotomia principale, oggetto dell’intero percorso esistenziale di Morselli, lo svolgersi periglioso del rapporto fra l’Io e Dio trova una sintesi di pensiero nella constatazione del destino involutivo della stessa scienza sviluppata dall’uomo.
Una pagina di diario del 1969, l’anno dello sbarco sulla Luna, inizia con queste parole:
“Per conto mio, direi invece che l’uomo non è destinato a vedere la propria fine.”
Frutto di una visione apocalittica, letterariamente concepita dalla cultura cristiano-giudaica, si afferma che l’umanità sarà, in un qualche modo, protagonista di quella “palingenesi alla rovescia” che è la propria fine. Ancora una volta ci troviamo all’interno di un libro
scritto in terza persona in cui, un misterioso autore, decreterà le modalità e i tempi della conclusione del racconto.

L’uomo come problema

Nei rapporti di causalità decretati dalla Storia i referenti sono sfumati e non identificabili perché coincidono con la stessa umanità che vive l’esperienza storica.
Prima degli anni settanta, Guido Morselli precorre i drammi odierni dell’ecologia planetaria. La dicotomia ideologica e teologica viene sorpassata dal dualismo vita e scienza. Il progresso scientifico ed il conseguente aumento dell’aspettativa di vita miglioreranno l’esistenza umana ma, nello stesso tempo, l’incuria ambientale provocherà cataclismi climatici che accorceranno la stessa vivibilità sul nostro pianeta.
La presenza di Dio, inteso come “Deus ex machina”, è sostituita dalla mancanza di responsabilità del genere umano e la catastrofe ambientale che ci attende sarà un problema da condividere.
In una società in cui la coscienza atea dell’esistere ha la sua consapevolezza, il problema fondamentale non è più Dio ma lo stesso uomo.

Epilogo dantesco

Le problematiche insite nello scrivere sono individuate da Morselli, come abbiamo visto sin dall’inizio, nell’utilizzo del pronome personale Io, fulcro di ogni pensiero, anche di quelli che non ci competono direttamente perché riferiti comunque sempre ad una entità individuale assimilabile ad altro Io.
L’Io è l’asse gravitazionale di ogni responsabilità.
La citazione dantesca dalle Rime, viene proposta da Morselli in una pagina di diario, in quanto esemplificazione di uno stato di ricerca che travalica il limite del tempo.
“Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra”
La precarietà dello stato esistenziale, le domande senza risposta, tormenteranno lo scrittore sino ai suoi ultimi giorni. I versi danteschi ci introducono in un esilio esistenziale ed intellettuale solo debolmente delineato dalla metafora della “selva oscura”.
Le parole emblematiche di Dante sono una degna epigrafe di questa esperienza intellettuale unica e profetica nel suo genere.

Nota:
I riferimenti e le citazioni inseriti nel testo sono tratte dal Diario di Guido Morselli, edito da Adelphi nel 1988 a cura di Valentina Fortichiari. Tutte le opere di Guido Morselli sono pubblicate dall’editore Adelphi.


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