Ebraismo e nazionalità

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di MIKOS TARSIS <>
In Europa siamo troppo ignoranti, bisogna ammetterlo. Non siamo in grado di distinguere tra ebraismo e nazionalità. Siamo convinti che, messo di fronte alla necessità di scegliere, un ebreo preferisca la propria religione agli interessi nazionali del Paese in cui vive. Ma questo vuol dire essere antisemiti.
Siamo convinti che per un ebreo il richiamo a una propria nazionalità sia invincibile, per cui non vede l’ora di diventare cittadino israeliano, magari colono in Palestina, e non gli importa nulla se ciò implica la negazione dei diritti di un palestinese (il cui nome peraltro vuol dire “abitante della Palestina”, non necessariamente di religione islamica).
Anche questo vuol dire essere antisemiti, poiché la stragrande maggioranza degli ebrei si identifica col Paese in cui vive, e se davvero crede nella propria religione, non ritiene affatto indispensabile vivere in Israele, anzi, giudica molto negativamente i comportamenti razzisti e colonialisti dei sionisti al potere. L’ebraicità oggi non ha un connotato politico o geografico: è soltanto un’appartenenza religiosa che non implica neppure la definizione di “popolo ebraico”, che è un’altra invenzione della cultura occidentale. Come se noi europei stessimo sempre dalla parte dei nordamericani perché sappiamo che la loro origine è europea (cosa peraltro vera oggi solo al 60%).
Chi si sognerebbe oggi di parlare di popolo inglese o francese o tedesco, dove la popolazione straniera può superare anche il 20%? In occidente l’omogeneità etnica linguistica culturale religiosa non esiste più da un pezzo. Anzi forse non è mai esistita. Attribuirla agli ebrei o ai palestinesi è ancora più assurdo. Anche solo per questo l’idea di fare due Stati non ha alcun senso. In tutta la Palestina le popolazioni sono incredibilmente mescolate che persino la creazione di un unico Stato laico e pluralista sarebbe molto difficoltosa. Come minimo dovrebbe riconoscere ampia autonomia amministrativa alle realtà locali.
Gli ebrei di tutto il mondo neppure sentono di avere un rapporto parentale con gli ebrei della Palestina, così come invece lo sentono i russi con gli ucraini, al punto che fanno di tutto per combattere solo i militari, che ancora assurdamente pretendono di occupare il Donbass. Anche perché molti ebrei in Palestina sono di origine russa o araba o non sono ebrei di nascita.
I problemi demografici degli israeliani sono enormi: temono, alla lunga, di non reggere il confronto col trend riproduttivo dei palestinesi. Questo per loro è un motivo sufficiente per non fare troppe distinzioni tra un ebreo e un altro e, di tanto in tanto, per concedersi un po’ di “pulizia etnica”, cioè di non andare tanto per il sottile, quando bombardano con gli aerei, tra civili e militari o tra adulti e bambini.
Neppure imporre un’unica lingua fa di una popolazione un popolo unito, ben distinto. La lingua madre non si scorda mai. La lingua orale fa concessioni alla prepotenza di quella scritta, ma poi in privato si sente libera.
Lo stesso con la religione: al giorno d’oggi sdoppiarsi tra una fede formale e una indifferenza sostanziale è molto facile.
Se tutti oggi in Palestina accettassero il principio dell’unità nella diversità, e se lo facessero disarmati, probabilmente riuscirebbero a costruire un melting pot unico nel suo genere.


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