Cronologia essenziale del liberalismo (parte 1. Fino alla nascita del liberalismo, nel ‘600)

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di RAFFAELLO MORELLI <>

1.1- Interrogarsi sul rapporto tra accesso alle risorse e potere.

L’intento di questo scritto è argomentare che, essendo il tempo, le risorse e la conoscenza ingranaggi fondamentali del meccanismo per cui funziona la vita di una società, il ruolo svolto dal cittadino individuo è decisivo nella convivenza. In tale prospettiva, mi soffermerò soprattutto su quest’ultimo aspetto, con l’obiettivo di far vedere come tale ruolo abbia progressivamente la tendenza, in specie negli ultimi quattro secoli, a rivedere la propensione, assoluta prima di allora, di concepire la politica come lotta di potere e quasi unico mezzo per riuscire a reperire le risorse e disporne. E insieme quella di far aumentare nelle relazioni pubbliche l’uso del metodo della libertà individuale del cittadino, che è l’essenza del liberalismo, proprio perché è il metodo che più ricalca l’evolversi del mondo.

1.2- Dai primordi al ‘500: netta prevalenza della forza sul conoscere.

Per un periodo lunghissimo le risorse reperibili erano esclusivamente quelle di cui si riusciva a percepire l’esistenza in natura, in forme variegate e non troppo nascoste. Rispetto alle altre caratteristiche del sistema, l’aspetto conoscitivo era davvero circoscritto (anche se, vedendo le cose da oggi, tendeva a crescere con molta lentezza eppure in modo continuo e rilevante). L’aspetto largamente decisivo nel disporre di risorse percepibili, era la forza di accaparrarsele, intendendo la forza nell’accezione più ampia della parola, da quella fisica, in termini personali o di gruppi organizzati precursori di quelli militari, fino ai mezzi monetari.
Nel corso delle epoche, si sono verificati dei balzi avanti notevoli nella conoscenza, ma circoscritti a chi li compiva o a chi li aveva commissionati. Negli altri ambienti, si diffondevano con estrema lentezza e ancor più trovando l’ostacolo, a breve insuperabile, della assai scarsa consapevolezza di certi aspetti del conosciuto, che venivano capiti solo a distanza di decenni, talvolta di secoli. Accadeva non per caso. La conoscenza del mondo si realizza comprendendo appieno come funzionano le cose reali. Viceversa, allora si pensava che tutto ruotasse attorno all’elaborazione teorica, a sfondo religioso ed iniziatico, al fine di poter individuare il modello dell’universo perfetto, che era l’obiettivo incrollabile della cultura dominante dei grandi poteri.
Durante questo periodo durato tantissimi secoli, il disporre di risorse risultava affidato soprattutto alla forza. Essa era essenziale non solo per riuscire ad accumulare risorse dirette (cosa che includeva pure il depredare altri fino a colonizzare aree molto vaste a livello intercontinentale e con forme di pirateria marittima) ma anche per costringere chi ne disponeva a farne un uso conforme al volere dei più forti.

1.3- Si avvia il ricupero del conoscere.

All’incirca cinque secoli fa, il mare della convivenza mostrò increspature, essenzialmente in Europa. Il loro obiettivo dichiarato era far rinascere la bellezza di una volta ma in aspetti essenziali erano increspature nuove.
La novità stava nel fatto che, seppur indirettamente e senza finalità espressa, intaccavano il predominio assoluto della forza. Infatti il modo per far rinascere la bellezza di una volta, consisteva nel valorizzare via via di più le attività intellettuali umane per riuscire ad esprimere due forme di conoscenza. Quella dei luoghi attorno agli esseri viventi (a cominciare dalle forme rilevabili) e quella di ciò che soddisfa gli umani (a cominciare dalle condizioni di benessere e dagli strumenti per corrispondere alle aspirazioni diffuse).
Con l’umanesimo rinascimentale, le attività intellettuali di ogni tipo intendevano svolgersi al puro livello intellettuale di studio e di percezione dei grandi sistemi del mondo, nel pieno rispetto delle consuetudini vigenti, di potere e di religione. Nella pratica, tendevano anche ad estendersi al di là del diretto ambito di tradizionale intento teorico, e si allargavano al rapporto con quelle risorse con cui era più frequente avere a che fare. Ovviamente dal lato conoscenza, ma pure dal lato forza. Ad esempio, utilizzando maggiormente le attività intellettuali umane, assunse sempre più importanza la forza finanziaria, che consentiva di esercitare la mercatura in ambiti più o meno vasti, nonché l’attività di prestare denaro, che, qualora si trattasse di banchieri, veniva erogato anche a grosse istituzioni, civili e religiose.
Insomma, pur proseguendo nel solco dell’antica impostazione di affrontare il tema risorse in chiave statica – le risorse erano quelle che erano e risultava decisivo accaparrarsi più degli altri quelle esistenti – si iniziò a ragionare maggiormente sulle risorse, soprattutto sul come procurarsene al di là dell’usare la forza in termini fisici. Nella prima metà del ‘500, l’aumento diffuso dell’importanza data all’attività delle persone viventi, toccò anche la Chiesa cattolica, tanto da portare alla rottura dell’unità attorno al Vaticano.

1.4- La frattura religiosa e la libertà di fede.

Martin Lutero, un monaco tedesco, predicò con foga e con determinazione la necessità di tornare alla fede delle Sacre Scritture volute da Dio. Il che, egli affermava, può esser fatto da chiunque le voglia liberamente consultarle, senza la mediazione di un clero istituzionale e dell’infallibilità del Papa (metodi che avevano portato pure al mercimonio dell’espiare il peccato pagando un’indulgenza). In sostanza Lutero, mosso dalla volontà di promuovere la riscoperta della fede antica, indicò la strada della libertà della fede da ogni imposizione dogmatica, che fu il concetto base della dottrina protestante (sia di Lutero che di Giovanni Calvino, suo autonomo seguace). Per mezzo di tale strada, Lutero avviò un grande fenomeno di principio che, a cominciare dai decenni successivi, si allargò a macchia d’olio in più direzioni e in più paesi.
Quasi negli stessi anni, anche per influenza della dottrina protestante, in Inghilterra la politica di Enrico VIII portò allo scisma della Chiesa anglicana dalla Chiesa romana, uno scisma fondato sulle Sacre Scritture, sulla tradizione e sulla ragione. La Chiesa anglicana si distinse presto per il suo interno pluralismo pervaso da differenze accese. Anche la Chiesa anglicana si allargò nel tempo a macchia d’olio.
La nascita di protestanti e di anglicani non fu un rifiuto della fede, bensì la scelta di concepire la fede non quale unità indistinta nel dogma ma come qualcosa che accomuna persone differenti che la vivono interpretando le Scritture senza bisogno del Papa. Dunque protestanti e anglicani hanno in comune la rottura in campo religioso del principio dell’unità del vero, principio che il clero aveva tratto dal leggere il messaggio cristiano quale compattezza ineludibile. Tale rottura è stata un passo avanti essenziale per sollecitare la presa di coscienza che, anche stando nel campo della fede, era decisivo che si esprimesse l’attività intellettuale attiva e dislocata in ogni dove. In altre parole veniva introdotto il principio della libertà di fede. Un principio assai fecondo nell’indurre cambiamenti in consuetudini radicate sì, ma con esso collidenti.
L’innovazione della libertà della fede, fece crescere in modo profondo il credito dato all’attività intellettuale nel conoscere il mondo e le sue cose. Ne fu molto irrobustita l’attitudine ad utilizzare le novità originarie da altri continenti e là in uso da centinaia di anni. Ad esempio, già nell’ultima parte del ‘300, era arrivata in Europa la polvere da sparo nata in Cina e in seguito introdotta dagli arabi in Africa. Nel nuovo clima, risultò una risorsa parecchio innovativa in vari campi, specie dal quattro cinquecento in poi.
In generale, la polvere da sparo mutò il sistema di fare battaglie; in metallurgia spinse a tecniche per realizzare fusti adatti al lancio di proiettili esplosivi; ma soprattutto fu l’occasione per introdurre tra la popolazione, a livello abbastanza ampio, l’accorgimento di mescolare sostanze differenti in percentuali tali da ottenere una composizione ottimale per un effetto esplosivo. Un simile metodo avviò lo sviluppo non contingente dell’idea che le risorse energetiche non si limitavano a quelle già presenti in natura come tali, ma che era possibile farne delle nuove. Ciò contribuì a creare una specie di febbre d’attesa per il cambiamento raggiungibile con l’attività intellettuale.

1.5- Nel ‘600 si avvia il periodo della scienza e dell’individuo.

Non per caso, da fine ‘500 iniziò un periodo sempre più fecondo per l’ansia umana di conoscere la Terra e per il lavoro della scienza. All’inizio fu soprattutto inerente lo studio dei cieli, che allora era ritenuto la questione più importante per capire quanto si considerava più vicino all’universo divino, cioè il modello di riferimento all’epoca ritenuto superiore. Peraltro un po’ alla volta e in cerchi in espansione, si iniziò a capire che il conoscere è un valore in sé e non in rapporto con la verità del progetto divino. Si cominciò a pensare che gli strumenti per condurre gli studi non venivano dall’applicare la metafisica religiosa o mentale. Venivano dal potenziare i caratteri e i metodi del ragionare sulla ricerca sperimentale (insieme agli strumenti per farla, ad esempio il microscopio), ed insieme dall’iniziare al renderne partecipi di quei caratteri e metodi, anche coloro che non li usavano. Al passar del tempo questo innescò innovazioni epocali in diversi campi, facendo crescere il peso del conoscere ad ogni livello, accompagnato, quasi a passo a passo, dall’aumento delle risorse utilizzabili previa loro trasformazione.
Pertanto, oltre che far fiorire in modo sempre più robusto le arti umanistiche, il peso del conoscere nell’accumulare le risorse, aumentava anche rispetto all’uso della forza. Non tanto nel senso che la forza venisse utilizzata meno a livello quantitativo, ma nel senso che la forza veniva usata sempre più limitatamente al dirimere le diatribe sulle idee e sul conoscere.
Ovunque si realizza il progressivo distacco dalla mentalità medioevale e religiosa caratterizzata dalle credenze magiche. Tra fine del ’500 ed inizio del ‘600, nel complesso, l’attenzione alle attività intellettuali crebbe di continuo e con Galileo Galilei si avviò l’uso del metodo sperimentale e il criterio scientifico nel rapporto con il mondo reale. Al tempo stesso, sotto il profilo politico culturale, questa attenzione iniziò a mischiarsi con lo scoprire l’individuo quale pernio del convivere.

1.6- La nascita del liberalismo.

1.6.a – Bacone. Un primo passo importante venne compiuto nel 1620 in Inghilterra con il libro Novum Organum Scientiarum di Francis Bacone. In sostanza criticava il principio di autorità (equivalente al dogmatismo e alla ripetizione), la superstizione e la magia (che sottomettono l’umanità e non migliorano le condizioni di vita), la scolastica (che usando la teologia aveva reso incerta la conoscenza), gli alchimisti rinascimentali (che hanno osservato senza connettere i risultati), proclamando infine che la verità è figlia del tempo e non dell’autorità. Questo dava molto rilievo all’individuo. Di fatti, per Bacone, la verità si persegue attraverso il procedimento sistematico, dell’osservare i singoli fenomeni, di classificare i dati isolandone gli elementi e così rendere possibile la conoscenza delle forme. Ed è proprio in quest’ultimo passaggio che il progresso di Bacone verso il nuovo ruolo del cittadino si arresta, in quanto rimane alle vecchie concezioni e non prende in esame il fatto che l’intelletto umano, nell’adoperare il procedimento sistematico, poteva anche utilizzare non le parole generiche bensì il linguaggio della logica mentale, cioè le relazioni matematiche.

1.6.b– Il caso Cartesio. Grosso modo nel quindicennio successivo, emerse un altro grande del criterio di conoscenza, René Descartes, in latino Cartesio. Egli mosse da un obiettivo tradizionale della filosofia (trovare la via per conoscere la verità del mondo) e ritenne che la base di questa verità fosse stabilire mediante l’intuizione l’evidenza di ogni cosa. E siccome riteneva che la realtà si dividesse in materia e mente o pensiero, il problema diveniva come il pensiero poteva giungere all’evidenza sulle cose. Ora, della capacità di pensare dispone l’individuo (che anzi per questo è sicuro di esistere) e così secondo Cartesio il sistema per giungere all’evidenza è il dubitare di quanto percepito, prendendo in esame ulteriori aspetti e spiegazioni fino ad avere certezza dell’evidenza (peraltro non escludendo neppure a quel punto la possibilità che un genio maligno possa ingannarci anche allora). Insomma, il dubbio era l’origine della sapienza. Che è appunto perseguibile mediante l’evidenza, l’analisi di ogni singola e semplice parte del problema, la sintesi organizzata, l’enumerazione dei passaggi dimostrativi per essere consapevoli di quanto fatto.
Questo nuovo approccio di Cartesio è stato l’inizio della cultura della ragione, intesa quale più rilevante risorsa umana. E con essa l’inizio dell’inquadrare intellettuale della conoscenza scientifica (ad esempio l’introduzione degli assi cartesiani). La Chiesa colse la pericolosità, dal suo punto di vista, dell’opera di Cartesio e la mise all’Indice. Lui invece riteneva che le facoltà umane fossero dono di Dio (così risolvendo anche il tarlo del genio maligno) e si impegnò a dimostrarne l’esistenza mediante tre prove ontologiche. Le quali tuttavia avevano il chiaro limite (messo in evidenza già all’epoca) di essere fondate su una sorta di circolo vizioso logico. Insomma, Cartesio aveva fatto un ulteriore passo rilevante nel definire il ruolo dell’individuo mentre non si era separato dalla concezione del Dio né aveva affrontato il ruolo cultural politico dell’individuo, cioè il relazionarsi reciproco ed i rapporti istituzionali.

1.6.c– L’Habeas Corpus. Il crescere delle attività intellettuali ebbe conseguenze diverse nel modo di governare l’esercizio del potere. Dopo che nella prima metà del ‘600 in Europa vi fu la guerra dei trent’anni per motivi religiosi tra diverse confessioni cristiane, l’insistita e crescente propensione a riconoscere valore alle attività intellettuali e alla libertà delle singole persone ebbe come risultato che le tensioni religiose, anche fortissime, non hanno causato più, come tali, guerre in questo ambito.
In Inghilterra il dibattito intellettuale fu più incisivo. Due rivoluzioni e un intermezzo repubblicano, fecero nascere la monarchia costituzionale in cui il monarca è limitato dal rapporto col parlamento e dalla costituzione. Nei rapporti istituzionali la svolta venne nel 1679 con l’introduzione in Inghilterra dell’ Habeas Corpus Act, che garantendo ad ognuno il diritto di sapere quale accusa gli si contesta e di veder convalidato il suo l’arresto, ha posto una pietra miliare nei diritti individuali. Nella cultura politica, la svolta equivalente ci fu undici anni dopo, con l’avvio della pubblicazione dell’opera principale dello scozzese John Locke.

1.6.d– John Locke. Locke riprese l’indirizzo di Bacone dato settanta anni prima ed utilizzò parecchio quello di Cartesio sul dubbio, sulla scienza, sul pensare individuale, senza peraltro mai avventurarsi nel metafisico e nei sistemi che spiegano tutto.
Locke fu un grande esponente dell’empirismo inglese vale a dire di una linea culturale in contatto sia con la ragione di Cartesio sia con lo svilupparsi della rivoluzione scientifica nel metodo dell’esperienza imperniata sulla riflessione individuale circa i dati di fatto rilevati. In sintesi l’empirismo si fonda sull’uso della ragione sempre incanalata dall’esperienza come fonte del processo conoscitivo e di convalida delle tesi intellettuali da controllare in via empirica. Locke, avendo stabilito una precisa connessione della conoscenza con l’intelletto di ciascuno (che percependo riflette) e con la sua libertà, fu il padre del liberalismo.
Locke avviò lo smantellare della visione statica del mondo fino ad allora fissata nella concezione religiosa, affermando che del mondo si possono conoscere solo gli aspetti fenomenici e non oltre. Ben presto smise di pensare che ciò accadesse in virtù di una società strutturata in termini assoluti. Ed arrivò al cuore del liberalismo con il libro sulla Tolleranza e poi con quelli sul potere.
Secondo Locke, la legge di natura è la ragione che hanno tutti gli umani e che usano nel quadro di quella libertà da tutti loro necessariamente rispettata. Da qui il principio naturale secondo cui “non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”. In sostanza, per Locke la legge di natura sono i diritti che consentono la vita, attraverso la libertà (che presiede allo scegliere) e la proprietà che consente di vivere in un’accezione umana (nel rispetto dei diritti di ciascuno). Ed è la libertà che da la possibilità di verificare ogni idea e progetto nell’esperienza, ivi comprese le strutture matematiche. Quindi queste strutture, quando si resta al loro ambito interno, portano alla verità della relazione studiata ma non necessariamente alla conoscenza del reale.
In tale quadro di rapporti naturali, Locke considerava lo stato un’organizzazione costituita per conservare e accrescere i beni civili (che per lui erano la vita, la libertà, l’integrità del corpo, il possesso delle cose esterne, tipo la terra, il denaro, le suppellettili ). Dunque la convivenza era lo strumento più utile per tutti. E osservando la realtà inglese dell’epoca, giunse alla formulazione dei principi liberali. Si convinse cioè che lo Stato doveva organizzarsi non secondo principi assoluti bensì adattandosi alle inclinazioni naturali degli uomini uniti in società. Di conseguenza, lo Stato non solo non poteva restringere i diritti naturali dei cittadini – vita, libertà, uguaglianza nei diritti in primo luogo della proprietà – ma aveva il ruolo precipuo di tutelarli e di lasciare ai cittadini gli affari quotidiani. “Poiché il buon andamento degli affari pubblici o privati dipende da vari e sconosciuti umori, interessi e capacità degli uomini con cui abbiamo a che fare nel mondo, e non da alcune idee stabilite di cose fisiche, politica e saggezza non sono suscettibili di dimostrazione. Ma un uomo trova su questo terreno l’aiuto principale dell’indagine dei dati di fatto, e in un’abilità di scovare una analogia tra le varie operazioni e i loro effetti. Ma se questa direzione negli affari pubblici o privati avrà buon esito,……. tutto ciò si può conoscere solo con l’esperienza. E fondata sull’esperienza, o su ragionamenti analogici, non c’è che probabilità”.
La concezione di Locke ha effettivamente dato origine ad una visione moderna dei rapporti fra la legge, la libertà e il governo tramite il voto dei cittadini. Capì che il potere non deve né essere concentrato in un’unica entità, né essere irrevocabile, assoluto, indivisibile o dipendente da un credo religioso (che è cosa diversa dall’averne uno che riconosca la divinità nel mondo). E in più colse un aspetto di assoluto rilievo , che poi è maturato nei secoli allargandosi, pur restando tuttora non penetrato in pieno nei suoi molteplici risvolti. Vale a dire la necessità di tollerare gli altri, che allora era una concezione opposta all’abitudine millenaria di sopprimere chi, al di fuori del clan ristretto, aspirava agli stessi beni.
Per Locke, la tolleranza era implicita nella libertà del cittadino in uno Stato, tanto che, ad esempio, sosteneva che non andasse applicata alla Chiesa cattolica, che si identificava con uno Stato diverso dall’Inghilterra e che intendeva prevalere pure su di essa e sulla sua confessione anglicana. Va rimarcato che, per un lunghissimo tempo, il senso di questa distinzione non venne intese nella sua complessità. Per ora basti dire che, ponendo la questione della tolleranza, si toccavano pure altri due aspetti all’epoca non approfonditi. Uno, l’idea che ognuno è diverso non solo dal punto di vita fisico, era percepita di massima senza cogliere tutte le implicazioni. L’altro non era addirittura neppure immaginato. E cioè che enunciare la libertà di ogni cittadino è essenziale ma non sufficiente. Comporta assumere anche altri principi, perché ogni cittadino possa essere libero nel manifestarsi. Ad esempio, impegnarsi a garantire che le risorse e le conoscenze disponibili per ciascuno siano almeno comparabili.
Oltre che della decisiva importanza della libertà e della necessità che lo Stato fosse ad essa improntato, Locke descrisse anche in modo accurato i fondamentali caratteri delle istituzioni libere e dei loro rapporti con i cittadini. Il tramite doveva essere il Parlamento, nel quale i cittadini erano rappresentati e che era lo strumento per fare le leggi, cioè il presidio di legalità nelle relazioni civili, e per controllare le attività di governo. Per essere in grado di avere tali caratteristiche, lo Stato doveva essere non confessionale (quindi evitando di dare privilegi religiosi) e riconoscere al cittadino il diritto di resistere alle ingiustizie istituzionali.

1.7- A cavallo del ‘600 e del ‘700

L’opera di Locke compì questi passi avanti. Ma pur nota, non ebbe una diffusione prorompente in tutti gli ambienti, restò appannaggio dei gruppi più colti e più disposti a percorrere la strada nuova della libertà. Inoltre, nei decenni successivi, emersero anche concezioni che facevano riferimento a sistemi diversi da quello di Locke, sia nelle premesse (che rimanevano assai più legate alla tradizione classica) sia nella direzione innovativa proposta (che concernevano un aspetto poco o nulla trattato in precedenza). Forse la più solida è la concezione di Gianbattista Vico. Partiva da una concezione oggettivamente passatista (solo Dio conosce le cose della natura in quanto creatore; l’uomo conosce la matematica da lui stesso formata ma esterna alla natura) ma era dedito, attraverso la passione per la tradizione erudita, ai problemi dell’accadere storico. Questo passaggio – la storia è fatta dagli uomini e dunque si possono ricostruire “i principî e le leggi entro le modificazioni della nostra medesima mente umana” – portò Vico a incontrarsi seppure indirettamente con la questione del tempo fisico. Perché la nuova scienza di Vico “è ad un fiato una storia delle idee, costumi e fatti del genere umano” e così osservò che tale storia era un succedersi circolare “di età di dispiegata ragione e di barbarie della riflessione” che conduce al ripetersi di analoghe forme storiche in applicazione dl disegno divino. Seppure nel quadro della tradizione, Vico iniziava a movimentare il concetto dell’eterno.
Nel medesimo periodo l’attività della scienza compiva grandi passi con la monumentale opera di Newton che, seppure in un ambito sensibile al divino, tradusse in termini matematici (le famose leggi) i principi cardine della fisica allora nota e verificabile, i quali costituirono per trecento anni la base degli studi nel campo, restando poi un saldo punto di riferimento.


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