Cronologia essenziale del Liberalismo (Cap. 7 La questione schiavi negli Stati Uniti)

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di RAFFAELLO MORELLI <>

3.9 – La questione schiavitù negli Stati Uniti.

3.9 a) Situazione differente tra Europa e Stati Uniti. Anche un’altra grande vicenda liberale della seconda metà ‘800 emerse in un paese di lingua inglese, ma in un altro continente. Mi riferisco alla questione della schiavitù negli Stati Uniti. Una vicenda esemplare del come richiedano continuo impegno e molto tempo le riforme della cultura liberale tese a introdurre e difendere il basilare principio degli uguali diritti legali di ciascuno a tutela della reciproca autonomia tra i cittadini.
In coerenza con la sua natura non ideologica, il liberalismo non poteva ridursi ad un modello rigido e prefissato nel tempo. Il metodo liberale essenzialmente consiste nell’osservare i fatti concreti e nel proporre soluzioni ai nodi percepiti, le quali poi emergono dal conflitto regolato tra le proposte dei cittadini tutti diversi. Venendo all’utilizzo degli schiavi, ho accennato già in precedenza che la sua pratica, diffusa non poco nei millenni, restava presente fino al ‘700 anche in Europa. Soprattutto come fenomeno di scambio commerciale nei paesi mediterranei e dei Balcani, che costringeva un consistente numero di persone (per lo più maschi atti a lavori corporei e il resto donne per aiutare nelle case, meglio se giovani e belle) ad ubbidire chi ne era il proprietario, avendo la sola garanzia di sopravvivenza fisica. Tanto che, per ridurre ancora il problema sul piano dei principi, molti tra i liberali continuavano a diffondere apertamente idee antischiaviste. Nel complesso, si trattava comunque di una pratica sempre meno diffusa e tendente a scomparire nei paesi cristiani dell’Europa (l’Inghilterra bandì la schiavitù i primissimi ‘800)
La situazione era del tutto diversa negli Stati Uniti. Nel ‘600 e specie nel ‘700, in Europa aveva dominato il grande commercio marittimo (l’Olanda era la prima potenza mondiale), della tratta degli schiavi deportati dall’Africa nelle due Americhe in cambio delle merci europee, e in seguito pagata in Olanda con cotone, zucchero e caffè. Quindi la questione della schiavitù in Europa era percepita come assai distante e, in quanto principio, era stata progressivamente bandita per mezzo del dibattito culturale e politico. Invece, gli Stati Uniti, ormai uno stato indipendente, erano divisi nettamente in due in tema di schiavi: il Nord in espansione industriale e protezionista, con una popolazione quattro volte maggiore, quanto meno era disinteressato ad usare gli schiavi, mentre il Sud con una robusta economia agraria usava la schiavitù come asse portante. Il che contrastava nel profondo con i principi della Costituzione unionista, anche se, all’epoca delle origini, la schiavitù era praticata anche tra i fondatori.

3.9 b) Il Compromesso del Missouri. La questione si acuì all’inizio del secolo, quando iniziò la rapida espansione verso i territori dell’ovest e divenne presto attuale il dilemma se consentire o meno la schiavitù nei nuovi stati del nord ovest che volessero entrare nell’Unione. I dibattiti sul tema furono sempre più serrati e divennero molto tesi nel ‘819-20 quando si trattò di decidere sul Missouri che non intendeva rinunciare agli schiavi. Dopo mesi di tensioni, fu trovato un compromesso dividendo gli Stati Uniti sopra o sotto il 36° parallelo, sopra vietando la schiavitù e permettendola al di sotto. Questo accordo ebbe vita turbulenta, ma resse fino al ‘854 quando venne stabilito che ogni nuovo stato avrebbe deciso per sé in tema schiavitù.
Tale scelta finì tuttavia per radicalizzare gli scontri tra le due parti, che concepivano il diritto in due modi differenti. Gli schiavisti riservavano i diritti di libertà ai tradizionali proprietari di razza bianca, mentre gli antischiavisti riferivano i diritti di libertà a ciascun umano vivente. Dunque la divergenza passava sul come concepire la proprietà, se precedente o conseguente al diritto di libertà umana.
Il confronto divenne ingestibile dopo una sentenza della Corte Suprema del marzo ‘857 che dichiarò incostituzionale il Compromesso del Missouri, perché violava il diritto di proprietà e perché i negri non avevano nessuno dei diritti previsti nella Costituzione. Ciò suscitò forti proteste negli ambienti antischiavisti del Nord. Il dibattito al riguardo si infiammò divenendo nei mesi il tema principale della campagna per le Presidenziali di fine 1860. E fece sempre più emergere quale candidato il leader dei Repubblicani dell’Illinois, il cinquantenne legale Abraham Lincoln, oratore molto efficace, il quale sosteneva che il vero fondamento dell’Unione era la Dichiarazione di Indipendenza piuttosto che la Costituzione, e che la Dichiarazione di Indipendenza considerava tutti gli uomini possessori di uguali diritti inalienabili tra cui la vita, la libertà e la ricerca della felicità.

3.9 c) La Presidenza di Lincoln. Lincoln era contro la schiavitù in termini equilibrati. Contrarissimo ad estenderla nei nuovi Stati aderenti all’Unione, non perdeva occasione per confermare di non volerla toccare negli Stati che già la adottavano. Peraltro era una tesi non accettata dal mondo degli schiavisti, in cui la proprietà era considerata come il dato centrale della libertà e non ammetteva che questo principio non fosse adottato all’interno dell’Unione. Così, nella seconda metà del ‘860 divenne via via più probabile il successo alle elezioni del Repubblicano Lincoln, e, quando a dicembre ve ne fu la conferma e nonostante lo stesso Lincoln continuasse a confermare il proposito di non sopprimere la schiavitù ove già esistesse, la Carolina del Sud (imitata da altri dieci Stati nelle settimane seguenti) non attese l’insediamento del nuovo Presidente e dichiarò la secessione , costituendo gli Stati Confederati d’America ed eleggendone un presidente provvisorio. La Confederazione non venne riconosciuta da Lincoln, né prima né dopo l’insediamento del 4 marzo ’61, perché il vincolo unitario dello stare nell’Unione non poteva essere messo in discussione: farlo, avrebbe significato far prevalere la proprietà sulla libertà. Tuttavia non venne compiuto nessun atto materiale, anzi si tentò di far accettare la linea del compromesso suggerito dallo stesso Lincoln (la schiavitù restava là dove era già insediata). Tuttavia i Confederati erano convinti con fermezza di avere ogni diritto di proseguire nei loro costumi consolidati, non solo di fatto ma come principio. Al punto che non tollerarono che la piazzaforte di Fort Sumter, nel porto di Charleston nella Carolina del Sud, risultasse tuttora presidiata dalle truppe dell’Unione. Pertanto, verso metà aprile ‘61, bombardarono la piazzaforte, atto che costituì l’avvio della guerra civile.

3.9 d) La guerra di secessione. In battaglia le truppe sudiste erano meglio addestrate, ma quelle nordiste disponevano di molti più mezzi. Così, dopo una prima fase di successi, i sudisti cominciarono ad essere progressivamente logorati, mentre Lincoln continuava a sostenere una guerra all’insegna del coinvolgere il Sud nella logica del Nord. Lincoln dispose la liberazione di tutti gli schiavi degli Stati secessionisti dal 1 gennaio ‘863 e poi l’arruolamento degli ex schiavi nell’esercito nordista. Nell’estate del ’63, i sudisti portarono l’esercito nel territorio dei nordisti per obbligare il Nord a trattative utili a coinvolgere le potenze europee (sensibili alle ragioni dei Confederati). A Gettysburg, un centinaio di chilometri da Washington, avvenne uno scontro durato tre giorni che si risolse con un grande successo dei nordisti, i quali da allora costrinsero i Confederati a subire ogni iniziativa bellica.
Quattro mesi dopo, a novembre, al cimitero di Gettysburg vennero celebrati i caduti. E Lincoln, con un discorso brevissimo (poco più di tre minuti) e giudicato uno dei più importanti della storia americana, dichiarò che la morte di così tanti coraggiosi soldati non sarebbe stata vana, che la schiavitù sarebbe finita per merito loro e che il futuro della democrazia nel mondo sarebbe stato assicurato, siccome “il governo del popolo, dal popolo, per il popolo, non perirà mai in questa terra”. E finì asserendo che la guerra civile aveva un obiettivo profondo: una nuova nascita della Libertà nella nazione. Proprio la tesi del far prevalere la Dichiarazione di Indipendenza, che fin dall’inizio indicava la strada del confronto tra diversi individui all’insegna della felicità. La guerra durò quasi un altro anno e mezzo, ma Lincoln continuava pure nella politica di ricostruzione degli Stati sudisti occupati, puntando a riunificare il paese.
In tale situazione, Lincoln dominò la campagna elettorale del ‘864 (scegliendo quale vice un democratico antischiavista dell’Unione Nazionale), alla fine prevalendo nettamente. I primi di aprile 1865 l’esercito confederale si arrese e la guerra civile terminò. La settimana successiva, in un teatro di Washington, un attore sudista, gridando il motto della Virginia contro i tiranni, sparò alla testa di Lincoln uccidendolo. Ciò però non modificò l’esito e le conseguenze della guerra appena conclusasi. Si confermò il primato industriale del Nord e uscì rafforzato il governo federale. Peraltro la moderazione aperta adottata da Lincoln non venne seguita dal Congresso, che venne dominato a lungo dai radicali. Per gli Stati del Sud fu adottata una politica di umiliazione verso i bianchi, che ebbe due risultati molto negativi destinati a radicarsi nei decenni successivi. La nascita del Ku-Klux-Klan, un’associazione segreta violenta e razzista contro i neri, e l’instaurarsi di una condizione di permanente segregazione razziale negli Stati del Sud. Caratteristiche intrinsecamente illiberali presenti da quell’epoca, che testimoniano l’esistere di pulsioni schiaviste.

3.9 e) Riflessioni sulla guerra civile. Due considerazioni. La prima. La lotta alla schiavitù negli Stati Uniti – prima, durante e dopo la guerra civile – è un’accertata prova sperimentale delle differenze profonde tra il liberalismo (che è connesso ai fatti concreti del momento, avendo l’obiettivo di far crescere la libertà di tutti i cittadini nella loro reciproca diversità, ben consapevole della necessità del tempo per maturare) e gli odierni distruttori di statue e di immagini del passato in quanto contrarie alle idee attualmente consolidate (in sostanza una volontà illiberale di nascondere il passato privilegiando il corretto modo di comportarsi stabilito oggi dai distruttori stessi, il che equivale a rifiutare nel profondo il concetto di tempo che passa , includendovi la maturazione che ne può conseguire).
La seconda riflessione concerne la conferma che il confronto sulla schiavitù ha fornito di quanto ho scritto sopra nel paragrafo 3.5 commentando il libro di Tocqueville di trenta anni prima. Ancora una volta, una grande battaglia di libertà è maturata e poi è stata combattuta senza fosse necessaria la presenza di un partito imperniato proprio sulla libertà. Ciò è stato reso possibile dal fatto che le istituzioni americane sono nate all’insegna della libertà dei cittadini e della limitazione del governo, nonché fortemente inclini al favorire e valorizzare l’associazionismo civile. Dunque non serviva un partito che indirizzasse verso il liberalismo, come invece era indispensabile in Europa, ove si radicavano da secoli istituzioni non liberali, caratterizzate da costumi ben diversi da quelli dei liberali. Negli Stati Uniti lo scontro era non sul privilegiare la libertà, bensì sul come farlo nel dato momento specifico (vedi il conflitto tra sudisti e nordisti sulla priorità tra proprietà e libertà).



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