di SERGIO MORA <>
Geografie dello spirito
Il Novecento è stato il secolo delle grandi metropoli, delle guerre mondiali, delle esposizioni universali, degli spazi immensi raggiunti via etere dalle reti radiofoniche e poi dai satelliti televisivi.
La realtà assume una dimensione diversa e l’uomo si sposta sul territorio spesso come esule, cittadino di una patria ideale che è all’interno del suo spirito.
Ferruccio Busoni (1866-1924) non è un italiano all’estero ma la proiezione esterna del nostro spirito nazionale alla ricerca di una più ampia dimensione.
L’uomo abita soprattutto la patria delle proprie idee che non hanno collocazioni geografiche.
Una delle conseguenze dell’unità nazionale è anche la nascita di una coscienza poliglotta, meno imbrigliata nelle strettoie provinciali, aperta ad una realtà complessa e stimolante, priva di “sciovinismi”.
L’animo europeo di Busoni è la conseguenza di una formazione intellettuale svoltasi fra la toscana colta e la Trieste mitteleuropea assieme alla pratica di un’arte, il pianoforte, per sua essenza protesa verso la continua migrazione.
Una biografia inedita
Eward Dent è stato il precursore degli studi su Busoni. La sua celebre opera biografica appare solo ora in italiano grazie all’iniziativa editoriale delle Edizioni Polistampa.
Un nuovo contributo editoriale è offerto da Auditorium con un agile testo curato da Claudio Chiamura in cui è possibile leggere le memorie della moglie del compositore, da tempo mancanti nella bibliografia busoniana.
Il racconto biografico mostra un artista in itinere, all’interno di una realtà geograficamente sviluppata in alcuni centri di massima concentrazione urbana: Londra, Zurigo, Berlino, New York.
La dimensione italiana di città come Firenze, Venezia e Bergamo appare straordinariamente arretrata. Lo straniamento che ne consegue genera quella sottile poetica della memoria che è un tratto distintivo del compositore.
La nuova classicità
Il dissidio fra una cultura incapace di comunicare attraverso la modernità e una nuova frontiera in cui il classicismo abbia una sua funzione normativa è il crogiolo morale di Busoni.
La nuova classicità propugnata dal musicista empolese è una “forma mentis” di stile e razionalità.
A differenza di Schoenberg, Busoni aveva sviluppato un concetto di tonalità allargata e di trasparenza strumentale in cui la polifonia delle singole voci è sempre percepibile.
Il pianista e l’interprete Busoni vuole resuscitare la comunicativa esecutiva insita nello spirito dei compositori affrontati. Ritroviamo quel concetto di stile rapsodico, già caro a Mahler, che presuppone un audace filo diretto fra esecutore e pubblico.
La meridiana del mondo
Come un novello Edipo, Busoni si muove nelle capitali europee osservando le cattedrali dell’innovazione che scienza e tecnologia propongono.
Il suo viaggiare non risponde solo alle necessità pratiche della professione: Busoni cerca di svelare gli enigmi inquietanti dell’inizio secolo in un mondo in continuo cambiamento.
Il monito più grande che possiamo individuare è comprendere il proprio tempo nel momento in cui la meridiana del mondo è in movimento. Essere uomini della folla senza subirne le conseguenze.
La fedeltà al proprio equilibrio morale è la grande lezione di Busoni che ancora dobbiamo cogliere.
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