La questione del male (parte 1)

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di GRAZIA ALOI <>

La trattazione dell’argomento, per vastità e importanza, merita adeguato spazio, fisico e mentale;  pertanto è suddivisa in parti:
– La Questione del Male in quanto tale
– La scienza del Male con riferimento alla Ponerologia e alla Patocrazia
– Clinica della psicopatologia, quando il Male entra nella stanza d’analisi

LA QUESTIONE DEL MALE IN QUANTO TALE

Cosa è male? tutto ciò che deriva dalla debolezza
(Friedrich Nietsche)

Invece di maledire il buio è meglio accendere una candela.
(Lao Tzu, filosofo cinese, VI sec. a.C.)

  1. INTRODUZIONE
    L’ESISTENZA DEL MALE È FATTO ONTOLOGICO

L’esistenza del Male, nella sua essenza ontologica, pone una preoccupazione concettuale non da poco nel dover fare i conti con rapporto e confronto con la Creazione e la natura Dio. 
Ma il Male cos’è?
È Mistero, Enigma, Inquietudine…
Il suo concetto impegna Pensatori di ogni epoca, dall’antica Grecia ai moderni e contemporanei, perché nessun Uomo può fare a meno di pensarsi, di pensare a se stesso e al suo perché.
Ecco perché è Fatto Ontologico.
È Mancanza ed è Assenza  del Bene (privatio boni).
Sarà per questa mancanza che l’Uomo trasforma il Male da “concetto” in “cosa” (ipostasi) e la “cosa” è atto  evocativo del dominio, che sia magia, mito, religioni, pseudo scienza e scienza, ma la domanda resta la stessa:  qual è lo scopo?

2. SCOPO DELL’ESISTENZA DEL MALE

primo: fare i conti con il volere divino
secondo: sottrarre l’Uomo al Bene

A) – FARE I CONTI CON IL VOLERE DIVINO: LA TEODICEA, spiegazione teologica della presenza del male nel mondo

“Dio può evitare il male ma non vuole, e allora non è buono,
oppure vorrebbe evitarlo ma non può, e allora non è onnipotente”
(David Hume)

“Se Dio è onnipotente e buono, perché permette che esista il male?”
(S. Agostino)

“C’è troppa tendenza ad attribuire a Dio i mali che l’uomo fa di sua spontanea volontà”
(Agatha Christie)

“Chi penserebbe a Dio se non ci fosse il male nel mondo?”
(Simone Weil)

La messe di citazioni dà già il senso di quanto la questione sia complessa.
La Teodicea è un tentativo di conciliazione tra l’esistenza del Male e quella di Dio Creatore buono; meglio ancora, è tentativo di spiegazione del perché Dio permetta il Male.
Il termine, alla lettera, significa “giustizia di Dio”, (Theos (Dio) e Dike (giustizia), da intendere qui come “giustificazione di Dio”.
Se ne occupa la Teologia: se l’Uomo è Creatura voluta da Dio buono, perché il Creato si assoggetta al Male? 
Perché è libero di farlo. Perché è dotato di libero arbitrio.
W. Leibniz, padre della Teodicea (Saggi di Teodicea – 1710) ne dà senso con il dono della libera scelta che Dio fa ad ogni Uomo.
Ma non basta. Sapere se e come l’Uomo utilizzi il suo dono non è qui sufficiente, perché l’ “imputato” è Dio.
L’accusa è severa: è Lui la causa del Male (o di permettere che esista)?
La Teodicea, in difesa, mette in campo strategie di giustificazione, chiamando in causa l’incapacità umana di vedere l’ordine superiore delle cose e quella di non saper utilizzare bene il dono della scelta.
Nell’agone della difesa c’è pure Agostino d’Ippona il quale si pone in una simile dialettica senza contraddittorio: de-responsabilizzazione totale della povertà del Bene, del male fisico, del dolore,  del peccato.
Dunque, Dio buono non è responsabile del Male nel Mondo però lo comprende come possibile libero atto umano (v. oltre).
A proposito del metafisico dilemma di chi sia la responsabilità, la letteratura è ricca di opere in tal senso, qui accennate in essenza del contenuto.

– IL LIBRO DI GIOBBE (uno dei Sapenziali)
Il tema è un po’ il gioco del “vediamo se…”.
Giobbe sopporta e si ribella ma il fine di Dio è mostrare la limitatezza nella conoscenza della grandiosità dei misteri divini.
Dio minimizza la sofferenza? Anzi, ne fa apologia? No, ha il suo perché d’esistere.
(Nota: nella Parte dedicata alla Clinica del Male si descrive la Sindrome di Giobbe – Iper IgE – chiamata così perché si presenta con piaghe e gravi lesioni cutanee).

– IL MITO DI ER ( Platone, La Repubblica –  380-370 a.C.)
È il viaggio dell’auto-determinazione e della costruzione del destino di sé.
Non manca nulla: il libero arbitrio, il viaggio nell’aldilà e ritorno, i giudici e i giudizi, le Moire dee del destino.

male metafisico e male morale:
finitezza umana e possibilità del Male

Leibniz sostiene che la Creazione è solo la migliore possibile che Dio abbia potuto fare.
Il “Male Metafisico” nasce dall’imperfezione dell’Uomo che lo distanzia in modo incolmabile dal Creatore. (tanto vale…).
Il “Male Morale” è concetto del dono del libero arbitrio e considerazione divina che il Male sia  “Possibile ma non Necessario”. 
Il Bene Assoluto non può, dunque, esistere: può esserci il “Meglio Possibile” (più di tanto non si può…)
L’interesse speculativo per il Male si organizza poi nella giustificazione (non più teodicea) del conflitto natura-cultura: aggressività, efferatezza, crudeltà…. sono innate ma la cultura fa la sua parte (che si possa parlare di Male Epigenetico? o Deterministico?). A caricare la mano ci pensa Sapolsky,  neurobiologo statunitense, acerrimo nemico del libero arbitrio “Determinato, una vita senza libero arbitrio” (2023).

B) LA MANCANZA DEL BENE – L’INTOLLERANZA DELL’ESPERIENZA NEGATIVA, spiegazione laica del male nel mondo

“Il diavolo è un ottimista se crede di poter peggiorare gli uomini”
(Karl Kraus, scrittore e poeta austriaco, 1874-1936)

Non sostare nella mancanza del Bene significa non aver accesso al simbolico, all’anagogico, al metaforico.
L’accesso al simbolico è frutto di un processo evolutivo che permette di mettere in relazione simbolo e significato.
Pertanto, la mancanza  di astrazione non permette di significare il Male per quello che è nella realtà. È come se il Male non fosse quel male lì, quello che si provoca, perché – tanto – non ha “significato”. (….tanto vale non interrogarsi).
L’accesso all’anagogico permette l’ascensione, la verticalità e la conoscenza superiore; permette la formazione del pensiero critico individuale, della propria idea.
Però, l’idea di cosa sia il Male non può essere processata, perché non esiste un’idea…. e di conseguenza il Male diventa qualcosa  che si fa e basta (senza connotazione del perché).
L’accesso al metaforico: “saper comporre metafore significa saper cogliere il simile” (Aristotele, Poetica, 334-330 a.C.); significa dare possibilità di esistenza alla funzione immaginifica.
Chi non tollera il negativo potrà mai porsi in una dimensioni di concepire “in fantasia” il Male? Anche no.
Quindi, le incapacità di accedere all’Oltre si riconducono nell’incapacità di tollerare l’esperienza negativa: esiste solo il Male perché manca la presenza del  Bene.
L’esperienza negativa, dice Hegel (Fenomenologia dello Spirito, 1807), non può essere evitata in alcun modo perché: “il seme deve morire per far posto al fiore” e, dunque, la morte (esperienza negativa) del seme (Bene) deve essere tollerata.
L’Esperienza del Male, di questo Male orfano del Bene, porta con sé la perdita di ogni morale, nel godimento del male procurato e nell’odio per l’altro, altro che non è Altro-da-Sé ma oggetto non pensato perché non pensabile.
Appurato che il Mondo non può fare a meno del Male, si pone ancora il dilemma – di ordine puramente speculativo – del perché l’Uomo  sia costretto a sostanziare il Male da non-esistenza (per volontà divina) a esistenza tangibile (per volontà dell’Uomo).
La volontà umana del Male ha senso nella sostituzione dell’oggetto d’amore, da Dio a cosa terrena tangibile, e nella determinazione per l’indipendenza da Dio.
Si  perde così il limite della coscienza, del pudore, del rimorso, del peccato…..

3. ACCONDISCENDENZA AL MALE

“L’indifferenza, per me, è la personificazione del male”
(Elie Wiesel, scrittore romeno  superstite all’Olocausto, 1928-2016)

“Il male supremo è la superficialità”
(Oscar Wilde)

L’accondiscendenza al male nasce  dall’adesione al Male
Adesione come appartenenza (ad esempio all’orda) e accondiscendenza qui sinonimo di compiacenza.
Si appartiene all’ordine del Male con compiacenza.
Soltanto due esempi: Schadenfreude e Processo al nazista  Adolf Eichmann. In entrambi i casi, si tratta di esercizio indiretto del Male.
Tema complesso, questo della Schadenfraude. In un altro articolo con tale titolo, la mia traduzione è: godimento per il dolore altrui.
Non c’è l’azione diretta dell’infliggere il male, è vero, però è come se ci fosse per “delega” a chi invece lo perpetra. Come dire che il lavoro sporco si fa fare ad altri. Sadismo in scena.
Processo: bastano le prime parole di Eichmann per capire la fatuità, la superficialità, l’irrazionalità del bieco personaggio. Sufficiente non essere l’esecutore materiale dello scempio, dei crimini, dello sterminio, delle torture… per poter dire che: “ho solo ubbidito, io non ho mai ucciso nessuno”. Personificazione della malvagità.
(Nota: questo argomento sarà ripreso nella parte dedicata alla Clinica della psicopatologia)

LA NON-PENSABILITÀ DEL MALE COME SUA BANALIZZAZIONE

“…nel momento in cui cerca di raggiungere il pensiero, il male è frustrato perché non trova nulla”.
(Hanna Harendt, “La banalità del male, 1963” e/o “Lettera a Gergshom, Ebraismo e modernità, 1986”)

“Il male senza pensiero è il più pericoloso di tutti, perché è un male senza radici, dunque impossibile da sradicare”
(Benedetta Tobagi, 1977)

Nell’uomo il pensiero precede l’azione; è una questione di integrità delle cortecce cerebrali e di igiene e salute mentale.
È difficile ritenere che non poter pensare non sia ascrivibile ad una nosografia, ma qui interessa la descrizione fenomenologica dell’atrofia mentale.
Incontinenza del ridicolo, intolleranza del contrario, perbenismo pruriginoso, lassismo spudorato, “lobotomia” remunerativa: nessuna di queste condizioni può  concettualizzare (pensare) il significato del Male.
“La zona d’interesse” film imperdibile, da vedere

4. CONCLUSIONI

Poche, cosa si può dire di più? 
Qualunque sia il motivo, il Male esiste.
Di chi la responsabilità?  
“Dio è morto” dirà Nietzsche
“…Liberaci dal male…” insegnò Gesù


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