Fratelli tutti. Dialogo tra LupoEugubino e Francesco Assisiate

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di VALERIO POCAR <>

Francesco. Caro Lupo, sono venuto a trovarti.

Lupo. Caro Francesco, mi fa piacere. A che debbo la visita?

F. Ti debbo tirare gli orecchi. Lo sai che di te si parla assai in città e si dice che sei molto famelico e mangi tutti quanti ti capitino a tiro?

L.  Pura maldicenza! E da che pulpito, voi che vi ammazzate senza ragione  appena ne avete l’occasione. Noi lupi almeno lo si fa per mangiare. E poi, quante storie per quattro pecorelle, malate oltre tutto. Lo sai che noi lupi siamo selettivi e ci nutriamo solo di bestiole che farebbero fatica a sopravvivere. Del resto, basta il raglio di un asino per indurci a scantonare e di asini a due zampe, giù in città, ce ne sono a bizzeffe e ragliano pure!

F. Adesso non sfottere, che ti rendi antipatico. Di te si raccontano tante storie e non sempre benevole.

L. Come se non lo sapessi! A cominciare da quel raccontafrottole di Fedro, con la favole del pupo e dell’agnello. Sì, è vero, io stavo di sopra e l’agnello stava di sotto, ma il ragazzino era davvero indisponente, pronto a rimbeccare. Tutto suo padre, che aveva messo in giro un sacco di fandonie su di me e la mia famiglia. E quello stronzetto andava ripetendo in tono canzonatorio le bugie paterne, così mi è venuto il nervoso…

F. Ma le colpe dei padri non devono ricadere sui figli…

L. Me lo dici proprio tu, che dai retta a un libro dove si parla di maledizioni fino alla settima generazione?

F. Ma io, personalmente, non sono affatto d’accordo.

L. Lo so, ti conosco. Del resto, immagino che anche a Gubbio ci sarà un ufficio che ripaga lautamente i danni che può capitarmi di fare. E non mi vengano a dire, i buoni pecorai, che il danaro del risarcimento profuma diversamente da quello che ricaverebbero dalla vendita degli agnellini al macellaio. Si lagnano come se si sottrassero loro animali di affezione e non creature che allevano per l’abbacchio pasquale.

F. Che a Pasqua di resurrezione si faccia strage di agnelli e capretti innocenti, non piace neanche a me.

L. Sia pure, ma tu vieni a fare la predica a me?

F. Ti chiedo scusa, qui hai ragione. Però,  che mi dici di quella volta della bambina con la mantellina rossa…

L. Me la ricordo bene. Non era una mantellina, ma un cappuccio. Beh, un’altra ragazzina maleducata e indisponente. Aveva proprio bisogno di sfottermi, che orecchi grandi hai, che occhi grandi, che bocca grande? Alla fine mi sono stufato e ne ho fatto un solo boccone. Senza farle male, però, che quando il cacciatore ha ammazzato me, e mi ha fatto male davvero, se ne è uscita sana e salva.

F. Questo è vero, ma la nonna non c’entrava.

L. E bravi loro! Abbandonarlo lì, tutta sola, nella casetta nel bosco, invece di prendersi cura di lei. Noi lupi diamo retta ai nostri vecchi e assegniamo loro il posto di riguardo.

F. Caro Lupo, sono regole d’altri tempi!

L. D’altri tempi, sì. Intanto ci siamo fatti accorti anche noi e abbiamo imparato che voi umani siete il pericolo. Così vi evitiamo e cerchiamo di starcene lontani da voi.

F. Lo so. Adesso, siamo nel dodicesimo secolo, magari fate ancora una giratina per Gubbio, ogni tanto. Poi, nei secoli a venire…

L. Lo so anch’io, tra sette secoli  per quasi duecento anni non ci saranno incontri ravvicinati tra lupi e umani. Intanto, però, gli umani ci avranno quasi sterminati. Poi  si capirà che non siamo così cattivi come ci dipingono e non mangiamo i bambini. Allora alcuni pochi penseranno di proteggerci, ma molti continueranno a non lasciarci in pace.

F. La pace tra noi e voi sarebbe una gran bella cosa.

L. Ma noi siamo già in pace con voi, ma voi…

F, Non voglio sottrarmi al confronto, ma si è fatto tardi e mi sono impegnato per una predica a un gruppo di uccellini che mi aspetta.

L. Vai vai, a ognuno il suo mestiere.

F. Ciao, Lupo. Mi hai aperto gli occhi. Posso chiamarti fratello?

L. Ma guarda un po’. Io ho sempre pensato di esser tuo fratello e tu ti svegli adesso? Comunque, qua la zampa.


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