L’ordine e la ragione: Anton Bruckner il compositore nella terza dimensione

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di SERGIO MORA <>
Religione e Musica 
Un musicista come Bach viveva in modo indifferenziato l’esperienza religiosa e quella compositiva per il semplice motivo che la seconda era al servizio della prima. Il problema teologico non esisteva per la sua mente perché era totalmente assorbito dall’istanza intellettuale committente. In questo modo Bach sapeva essere, in modo disinvolto, anche autore di musiche profane senza alcuno scarto di ordine emotivo o qualitativo.
Anton Bruckner era nato in una regione dell’Austria estremamente arretrata dove il pensiero religioso era l’unico modo per inserirsi in una dimensione statale e , se vogliamo laica, in cui l’autorità legislativa era tutt’uno con il dogma religioso.

Autorità e condizionamento
Anche Wagner, nel periodo in cui stava emergendo come artista alla corte di Luigi II di Baviera, dovette scendere a patto con la prudenza gesuitica che vedeva in lui un esempio di libero pensatore troppo contagioso per la pubblica opinione.
L’Austria dell’Impero Absburgico era coalizzata con il cattolicesimo in modo più pervicace della Spagna controriformistica e dell’Italia risorgimentale.
Nel momento in cui le guerre di indipendenza stavano sempre più sfrangiando i confini di influenza e di territorialità del dominio austriaco, all’interno dell’impero la mentalità comune si fortificava di principi pseudo catechistici per meglio immobilizzare la capacità di libera riflessione.
L’apparato statale si nascondeva dietro una imponente burocrazia che fagocitava l’intraprendenza cittadina.
I libri di Karl Kraus, di Robert Musil e di Elias Canetti hanno ben rappresentato questo mondo lambito dal baratro.
La convivenza con la catastrofe incombente si sarebbe materializzata, all’inizio del Novecento, nella prima guerra mondiale.

L’Impero malato  
Già dopo le cinque giornate di Milano il ritorno dell’Austria nei nostri territori aveva il sentore di una difficile ma inevitabile capitolazione.
Il simbolo religioso del Cenacolo di Leonardo da Vinci era stato preso a modello di sensibilità artistica da Francesco Giuseppe in armonia con il messaggio religioso in esso codificato.
Stiamo parlando di uno dei primi dissennati restauri effettuati nel nome di principi non solo conservativi ma come prova di una indubitabile forza politica e morale.
Nello stesso periodo non solo il prestigio territoriale dell’Austria era in pericolo ma anche il suo celeberrimo carisma in campo dell’arte.
La Vienna dei valzer, grazie ad Otto Nicolai, il cui cognome tradisce l’ascendenza italiana, aveva partorito quella immensa istituzione che sono i Wiener Philarmoniker.
Negli anni cinquanta dell’Ottocento l’orchestra languiva ed era a rischio di cessare completamente l’attività.

Il primato della sinfonia 
Nella Vienna post-napoleonica la forma della sinfonia aveva raggiunto una perfezione di sviluppo che non aveva paragoni. La triade Haydn, Mozart e Beethoven era divenuta il simbolo stesso del genere. Questi musicisti, non tutti di origine austriaca, si erano insediati nel capoluogo viennese ed avevano esercitato con successo la loro attività. Nel periodo delle guerre di indipendenza l’asse sinfonico si era trasferito a Lipsia dove Mendelsshon e Schumann esercitavano la loro influenza.

L’ordine della ragione
La Vienna declinante a livello politico doveva perlomeno riacquistare i vecchi primati artistici fra cui quello sinfonico. La forma sinfonica è per essenza un modello di equilibrio dove i suoni trovano l’ordine della ragione per uno sviluppo esteso del dialogo musicale. Il ritorno in auge dei Wiener Philarmoniker appartiene a quegli anni. Anton Bruckner, armato di certificazioni scolastiche e di volontà di emergere, decide di concorrere all’interno degli spazi culturali che si erano aperti: quelli della sinfonia e dell’insegnamento all’interno del locale Conservatorio e dell’Università.
Ordine e ragione erano il chiodo fisso del compositore che non conosceva altri stimoli intellettuali se non quelli dati dalla religione.
Parlare di pensiero religioso sarebbe troppo, perché Bruckner era il prototipo di quel tipo di persona a cui era stato fatto il lavaggio del cervello e che quindi esprimeva la propria religiosità in un cumulo di pratiche alienanti e prive di una esatta cognizione storico-spirituale. Non a caso Bruckner naufragò in un pericoloso stato di alterazione mentale che avrebbe potuto compromettere la sua stessa esistenza.

Il primato del numero 
La deriva numerologica in cui Bruckner era caduto finì con il salvarlo. Il musicista era stato condizionato dai numeri attraverso una errato concezione dei versetti della Bibbia e dalla stessa suddivisione numerica delle battute musicali. Quando comprese che dietro i numeri e le cifre si nascondeva anche la libertà, Bruckner fu salvo. Nel totem del numero Bruckner vedeva il controllo statale, la lunga mano di una presenza quantificatrice e giudicatrice non dissimile dal Grande Inquisitore di dostoeskiana memoria. La soggezione numerica era quello spirito bloccante che lo faceva sprofondare in una indecisione patologica. Alla fine, questa spiacevole “coazione a ripetere” tipica delle nevrosi, si trasformò nella sua  rigorosa impaginazione musicale spesso determinata dal numero preciso delle battute e dall’introduzione delle lettere alfabetiche come sostegno algebrico nella divisione dei periodi musicali.

Misticismo e laicità  
Nella Vienna della resurrezione sinfonica si misurarono sulla stesso ring, il podio dei Wiener Philarmoniker, Brahms e Bruckner: le due B.
Brahms era un libero pensatore formatosi nella Germania della Riforma di Lutero, capace di far proprio il motto “pecca fortiter sed crede fortius”. Nascondeva nella Bibbia del proprio genitore alcune banconote dicendogli di sfogliarla quando necessitava di conforto. Per Brahms, nel momento in cui decise di scrivere la sua prima sinfonia, trovarsi sulla propria strada Bruckner che ne aveva già scritte due, significava davvero un grande discapito. Il compositore di Amburgo, psicologicamente molto avanzato, definì Bruckner “un povero pazzo che i preti avevano sulla coscienza.”
Lo scontro fra Brahms e Bruckner è stato foriero di sviluppi benefici: si trattava di un raffronto ad armi pari fra misticismo e spirito laico.

Il futuro in sospeso 
Benché i due compositori fossero diametralmente diversi, l’incontro delle loro estetiche preparò la materia su cui avrebbero lavorato le future generazioni. Il raziocinio di Brahms finì con il fondersi con la dimensione cosmica di Bruckner per descrivere il precipitare storico della “finis Austriae”. Il lato cosmico di Bruckner è debitore di Wagner e della sua nuova concezione della musica come “sostituta di Dio”. Per questo motivo potremmo paradossalmente invertire i termini del discorso e fare del “pio” Bruckner un agnostico sconosciuto a se stesso. L’immensità armonica in cui galleggiano le note delle sinfonie di Bruckner sono come le nostre sonde spaziali che viaggiano verso mondi sconosciuti. I numeri appaiono indispensabili per misurare le distanze e le grandezze. Nell’attimo in cui l’Impero Absburgico collassa su stesso, Bruckner inventa una propria legge della relatività in cui tutto si rimpicciolisce sino a dileguarsi nel libro della Storia.
Brahms rifà nelle sue quattro sinfonie il modello neo-barocco delle suites per orchestra di Bach. La forma come geometria assoluta della ragione assorbe la sua opera. Entrambi stigmatizzano la grande stagione della musica come forma di pensiero e di comunicazione. Entrambi hanno detto davanti ad un Valzer di Strauss “peccato che non l’ho scritto io!”

Un bicentenario 
I duecento anni dalla nascita di Anton Bruckner deve porci nuovamente davanti alle sue sinfonie con spirito aperto e indagatore. Un nuovo studio di Alessandro Zignani (Manzoni editore 2023) sagacemente intitolato “Il sosia di Dio” inserisce il compositore in un ambito di riflessioni inedite fra cui il suo retroterra contadino privo di chiare radici. Ecco allora la terza dimensione di Bruckner  già presente nella triplice stesura delle sue opere.
La sua apparente psicosi è stata la sua e la nostra salvezza!


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