di MARIA GIGLIOLA TONIOLLO <>
Il presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, ha promulgato tempo addietro la legge contro gay, lesbiche e transessuali più dura al mondo, sfidando la condanna di tante nazioni, degli attivisti per i diritti umani, la riprovazione delle multinazionali. Le relazioni omosessuali erano già illegali in Uganda, come in più di trenta paesi africani e già nel 2014, quando Museveni firmò una prima legge anti gay, i governi occidentali avevano sospeso alcuni aiuti, ridotto la cooperazione in materia di sicurezza e imposto maggiori restrizioni sui visti ai cittadini ugandesi. La nuova legge va ben oltre ogni chimera la più scellerata nel prendere di mira orientamento sessuale e identità di genere: approvata dai parlamentari a marzo con trecentottantanove voti a favore e due contrari, prevede l’ergastolo per gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso, la pena di morte per il reato di “omosessualità aggravata”, vent’anni di carcere per il reato di “promozione dell’omosessualità” e fino a sei mesi di detenzione per omessa denuncia del sospetto di reato da parte di qualunque cittadino, sia esso medico, familiare, guida spirituale della persona sospettata. Nel mirino della legge ci sono anche giornalisti ed editori che rischiano di essere perseguiti e incarcerati per aver pubblicato, trasmesso e distribuito contenuti che sostengano i diritti dei gay o che “promuovono l’omosessualità”. Siamo davanti alla legalizzazione dell’odio. “Abbiamo difeso con forza la nostra cultura e le aspirazioni del nostro popolo”, ha dichiarato la portavoce del parlamento Anita Annet Among, ringraziando Museveni per questa sua “ferma azione nell’interesse dell’Uganda”. “Abbiamo risposto alle grida del nostro popolo, alla sua preoccupazione. Abbiamo legiferato per proteggere la santità della famiglia”.
La situazione dei diritti umani sta precipitando in molti Paesi, in particolare in Africa, verso un inferno persecutorio e di sterminio, anche sotto l’egida di iniziative legislative che fanno capo a organizzazioni religiose americane, a chiese evangeliche e ad altri gruppi integralisti o pseudo tali, nonchè a posizioni estreme sostenute da parte di alcuni Vescovi della Chiesa cattolica: nota la lunga lettera aperta al Presidente del Ghana Nana Akufo-Addo da parte del Vescovo di Konongo-Mampong, Joseph Osei-Bonsu a pieno sostegno di un disegno di legge in fieri contro gay, lesbiche e transessuali, noto l’arcivescovo anglicano dell’Uganda, Stephen Kaziimba, che ha espresso gratitudine al governo ugandese per la nuova legge elogiando i legislatori per aver “elaborato” una legge che offrirebbe “una maggiore protezione dei bambini attraverso forti misure anti-adescamento”. L’arcivescovo ha ribadito inoltre la convinzione che l’omosessualità sia “una sfida in Uganda perché imposta da attori esterni e stranieri contro la nostra volontà, contro la nostra cultura e contro le nostre convinzioni religiose. Si travestono da attivisti per i diritti umani, ma stanno corrompendo i veri diritti umani”. Nemmeno i vescovi della Côte d’Ivoire hanno voluto restare in silenzio davanti a tanto deplorata “deriva sociale” dei tempi: riuniti nella loro assemblea a Agboville, hanno posto alle autorità e alla popolazione in primis non i drammatici problemi dell’emigrazione o della salute, bensì una presa di coscienza collettiva contro l’omosessualità.
L’Uganda, paese dell’Africa orientale che vive sotto il regime autoritario di Yoweri Museveni da trentasette anni, aveva già inasprito le proprie leggi ereditate dalla colonizzazione britannica e la nuova legge si inscrive nel clima omofobo che regna in buona parte del continente, dove pare considerarsi l’omosessualità come fenomeno importato dall’occidente. L’idea di una “importazione” dell’omosessualità ha trovato contesto nella lotta contro l’aids, nell’azione di prevenzione e di educazione delle organizzazioni occidentali o finanziate da istituzioni occidentali, ma spesso il pretesto per la condanna viene posto in nome di un cristianesimo conservatore. La questione dell’omosessualità ha assunto una secca valenza politica, entrando a far parte del sentimento di ostilità nei confronti dell’occidente, inteso portatore di liberalizzazione dei costumi, di dominio economico e ideologico. Il tema è più grande di quanto si possa pensare, anche considerando la Russia di Putin, il suo rifiuto dell’occidente, dove il sanguinario dittatore non manca mai di citare nelle sue elucubrazioni il matrimonio per tutti come “depravazione dei costumi”. Per la Russia l’omosessualità altro non è che il marchio della società e della civiltà di un occidente in piena decadenza e Mosca usa questo argomento nelle sue campagne di propaganda in Africa. Secondo Martin Ssempa, pastore protestante ugandese naturalizzato statunitense, fondatore della Makerere Community Church e fra i principali sostenitori del provvedimento, la nuova legge è una vittoria contro gli Stati Uniti, contro l’Europa e contro i gruppi che lavorano per affrontare l’HIV: “Il presidente ha dimostrato grande coraggio nello sfidare la prepotenza degli americani e degli europei”.
Lo scorso febbraio, centodieci persone lgbt+ in Uganda avevano denunciato ad Advocacy Sexual Minorities Uganda arresti, violenze sessuali, l’ordine di spogliarsi forzatamente in pubblico, soprattutto le persone transgender erano state colpite nel modo più crudele. Il 17 aprile, un tribunale della città orientale di Jinja aveva negato la libertà su cauzione a sei persone che lavoravano per organizzazioni sanitarie, accusate di “far parte di una rete sessuale criminale”. La polizia ugandese aveva confermato di aver condotto esami anali forzati sui sei di loro e di averli sottoposti al test dell’HIV. A stretto giro le donne al governo in Tanzania avevano chiesto alla presidente Samia Suluhu Hassan di prevedere la castrazione degli omosessuali. La legge sembra avere di un ampio sostegno popolare in Uganda o almeno c’è stata scarsa opposizione. Solo il Sudafrica, ha legalizzato il matrimonio per tutti, nel 2006. Un altro paese dell’Africa australe, il Botswana, ha cancellato la criminalizzazione dell’omosessualità nel 2019, ma oltre la metà dei cinquantaquattro stati africani presenta normative più o meno repressive che prevedono pene detentive per gli omosessuali. Anche nei Paesi dove la legge non la vieta, l’omosessualità resta un tabù e gay, lesbiche e trans sono in pericolo costante. Il Parlamento del Ghana sta considerando un progetto di legge simile a quello ugandese, facile prevedere che analoghi provvedimenti stiano per essere proposti a cascata in altri Paesi, la situazione sta generando sequenze sempre peggiori e sempre ad opera di movimenti integralisti, lontani da ogni credo, assai riccamente finanziati. Senza sottovalutare le correnti antilibertarie che proliferano anche nel nostro Paese.
Una stretta, quella decisa dalla nuova legge che ha suscitato infinite reazioni, scatenando proteste davanti alle missioni diplomatiche ugandesi all’estero: Joe Biden l’ha bollata come “tragica violazione dei diritti umani universali“, chiedendone la revoca, chiedendo ai servizi della Casa Bianca di valutare le ripercussioni della legge “su tutti gli aspetti della cooperazione” fra Usa e Uganda. La comunità internazionale è insorta con l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la Politica Estera Josep Borrell, con l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Türk, con i responsabili del Fondo globale per la lotta contro l’Aids, la tubercolosi e la malaria, con UNAids e il President’s Emergency Plan for Aids Relief degli Stati Uniti, Amnesty International, Human Rights Watch e mille altre organizzazioni umanitarie: tutti hanno sostenuto che, tra l’altro, i progressi nella lotta contro l’Aids e l’HIV sono “ora in grave pericolo” dato che lo stigma e la discriminazione collegati all’approvazione della legge hanno già indotto una riduzione dell’accesso ai servizi di prevenzione e cura.
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