Tempus aedificandi, tempus destruendi. Il centenario della “Montagna incantata” di Thomas Mann

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di SERGIO MORA <>

Il nome di Dio  
Nel nome delle religioni e dei problemi etnico-territoriali mai risolti, si tornano a fare le guerre. E’ significativo che la frase biblica, da noi posta come epigrafe di questa riflessione sul romanzo di Mann, sia stata pronunciata pochi giorni fa da Netanyahu come giustificazione delle azioni in corso.
L’alibi umano della guerra ed il suo terrificante laboratorio ideologico è il tema sempre attuale che presiede l’opera narrativa del grande scrittore tedesco.
Nel 1924, poco dopo la fine del primo conflitto mondiale, Thomas Mann pubblicò il suo romanzo più rappresentativo.

Il laboratorio mentale delle elite  
La nomenclatura adoperata dallo scrittore per descrivere i luoghi ed i personaggi non è casuale ma altamente significativa. La parola “montagna” non designa un luogo fisico-geografico ma la condizione di presunta elevatezza borghese-aristocratica in cui versano i protagonisti della storia. Al vertice della montagna corrisponde la “pianura”, la “terra bassa” in cui vivono le persone comuni.
Ogni personaggio del romanzo rappresenta un punto di vista individuale che inevitabilmente si scontra con lo stato indecifrabile della realtà che si vuole ostentatamente manipolare.

Il sacro come attribuzione 
La montagna è per definizione “sacra” per il semplice fatto che rappresenta lo “status quo” dell’Occidente propenso ad una forma sclerotica di immobilismo. La mancanza di senso critico e di apertura mentale, impedisce ai personaggi di vedere se stessi ed il proprio mondo all’interno di una inevitabile trasformazione.
Si tratta della stessa rappresentazione marmorea del reale offerta in precedenza da Richard Wagner nel Parsifal, dove le pseudo verità governano la realtà.
L’Occidente come altare intoccabile di Civiltà secolari, si trasforma nella cecità di chi vuole dominare il proprio ambiente che vede in pericolo.
“…consideri sacro tutto quanto a lei, figlio dell’Occidente, del divino Occidente, figlio della civiltà, è sacro per natura e tradizione…”
Questa frase, introdotta in uno dei dialoghi del libro, suggella un momento drammatico in cui ormai tutte le coscienze risultano distorte e annebbiate.

Il crogiuolo dell’opinionismo  
Gran parte del romanzo non ha una vera e propria vicenda attiva se non uno stato snervante di attesa.
In questo “limbo” privo di capacità decisionali, le persone vivono di opinioni da loro stesse prodotte e spesso contrastate.
L’opinionismo, su cui si fonda gran parte dell’odierna società, è un rinnovato alibi per non assumersi dirette responsabilità. Perché il concetto stesso di responsabilità implica la capacità di conoscere a fondo i processi storici e sociali che ci circondano. In questo modo la riflessione umana è sempre “fuori” dalla realtà, in gran parte distorta da facili pregiudizi.

Riconoscere se stessi  
Un limite di questo modo di pensare è quello di ridurre ogni cosa alla propria dimensione percettiva. Si tratta, ancora una volta, di restringere il proprio campo culturale all’edonismo, apparentemente pacifico, del “sé”.
“L’uomo non fa mai un’osservazione universale, senza tradirsi del tutto, senza metterci inavvertitamente tutto il suo io e presentare in qualche modo simbolico il tema fondamentale e il primo problema della sua vita.”

L’eterno ritorno 
Nel suo saggio “Considerazioni di un impolitico”, scritto fra il 1915 e il 1918, Thomas Mann perfeziona la genesi di una delle trappole mentali più comuni dell’uomo politico: lo scontro della civiltà come giustificazione dello stato di belligeranza.
Questo metodo riduttivo del pensiero umano, all’interno di concetti astratti come “civiltà” e “cultura” impedisce l’espandersi della vera dialettica della Storia: il dialogo fra opposti sistemi per una sintesi che abbia il presupposto dello stato di quiete, ossia della pace.

La tempesta 
Abbiamo iniziato il nostro discorso mostrando come certe espressioni della retorica religiosa siano tornate sulle labbra dei sapienti della terra per accreditare il proprio operato. Abbiamo visto come ciò che pensavamo consegnato ai libri di Storia e di letteratura sia diventato ancora oggetto della cronaca quotidiana. Abbiamo visto che l’uomo del nostro tempo sia ancora quello della “fionda e della pietra” come aveva stigmatizzato Salvatore Quasimodo.
Anche i mutamenti climatici hanno la loro parte in questa visione epocale.
Thomas Mann chiude il suo romanzo mostrando il protagonista della vicenda al di fuori del mondo di “elite” della montagna per affrontare il freddo ed il fango della pianura, nelle trincee della prima guerra mondiale.
Gli eventi atmosferici, la pioggia e la nebbia, simbolizzano quegli elementi esterni che impediscono di vedere il reale stato delle cose. La guerra è per sua definizione, caos e disordine ovvero “il sonno della ragione”.
Ecco come Thomas Mann conclude il romanzo:
“Chissà se anche da questa mondiale sagra della morte, anche dalla febbre maligna che incendia tutt’attorno il cielo piovoso di questa sera, sorgerà un giorno l’amore?”

Per non dormire più 
Con quest’opera di grande sintesi di pensiero e di modelli di vita, Mann ci offre ancora lo spunto per riflettere sul tempo presente che tragicamente riscrive la parabola involutiva che da sempre ha mosso il genere umano.
La grande letteratura si pone come breviario della quotidianità, in questo modo continua a stimolare le nostre riflessioni.
Torniamo quindi a rileggere il capolavoro di Thomas Mann alla luce di ciò che il mondo sta’ vivendo per trarne le dovute conclusioni.
Civiltà, cultura e religione sono da sempre astrattismi, vuoti di pensiero per poter pensare e aspirare ad una sola cosa: quella cosa in cui la ragione non ha mai abitato e che potrà portare il mondo verso una deriva senza domani.
L’opinionismo, la danza macabra delle “elite”, rappresenta lo stordimento di un reale pensiero logicamente coordinato: l’ultima finzione elucubrativa del nostro cumulo di esperienze.
Speriamo anche noi di poter vedere sorgere quel giorno auspicato dallo scrittore. Soprattutto il giorno del risveglio della ragione, per non dormire più.

Nota
La traduzione della “Montagna incantata” oggetto di questo scritto è quella di Ervino Pocar, edita da Mondadori nel 1965
Una nuova e più stimolante versione in italiano del romanzo è stata nuovamente pubblicata da Mondadori nel 2010, a cura di Renata Colorni. Il titolo originale in tedesco “Die Zauberberg”, è stato più correttamente tradotto ne “La montagna magica”.


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